di BEPPE LO RUSSO
Invecchiare (nella mente e nel fisico) equivale a una progressiva perdita di capacità cognitiva o all’acquisizione di maggiore capacità di selezione e discernimento? Con un humour nero o quasi il ns “antigastronomo” (qui) inaugura la sua collaborazione a AF…
Se il processo di apprendimento è davvero il risultato di una selezione manipolativa a cui vengono sottoposti i dati dell’esperienza ed i loro valori simbolici guidata dal progetto dell’informazione che desideriamo ottenere, cosa accade al pensiero nel naturale e progressivo processo d’invecchiamento cerebrale?
Se allora la nostra mente si preoccupa di organizzare la realtà per e con uno scopo d’uso tutto personale, il primo danno dell’invecchiamento è proprio nella perdita d’interesse nello scopo; per meglio dire, la perdita d’interesse nella qualità della conoscenza che vogliamo formarci, ovvero nella costituzione di modelli mentali pertinenti da utilizzare per l’individualissima esperienza che ci facciamo della realtà.
Questo significa anche non trovare più come esercitare il nostro personale modo d’indirizzare l’osservazione per la creazione dei dati, cioè della loro esistenza significativa, come modelli mentali, al fine dell’informazione.
Detto questo, i segni che caratterizzano il processo di senescenza dell’attività cerebrale possono sintomaticamente manifestarsi:
A) Come progressiva attenuazione del pensiero ‘fondante’ (e fondato) per categorie, ordini e gradi, e relativo dissolvimento d’ogni criterio d’individuazione e discriminazione delle dissomiglianze tra fatti, idee, cose e persone, fino alla sparizione totale dell’atto di giudizio;
B) Come crescita ad infinitum delle possibilità di generalizzare\categorizzare i dati dell’esperienza fino a che l’alto numero di famiglie, generi, specie, ecc. non ne renda più possibile la corretta gestione e conduca nuovamente all’abolizione per il proliferare delle informazioni delle differenze significative e identificanti.
I possibili esiti strategici, o potremmo dire anche comportamenti “antalgici”, conseguenti a questi stati mentali possono essere:
1) Un’economica riduzione della massa dei dati attraverso l’uso di poche categorie generali ‘amplissime’, trascurando casi e contesti ambigui od elusivi di difficile classificazione. Esempio comune di riduzione a tre sole categorie: Dio, Patria, Famiglia;
2) Una totale disponibilità a convivere e ad accogliere il pluralismo e la variabilità dei dati nel loro manifestarsi in differenti contesti. Tutto allora viene assunto come ‘non inessenziale’ e viene ammesso a partecipare al mucchio di un disordinato inventario. Questo conduce alla pratica ossessiva dell’accumulazione totalizzante, dove i dati vengono posti in uno stato ‘dormiente’, il cui significato, se è il caso a volerlo, viene piuttosto che cercato, trovato in itinere;
3) Una modulazione del proprio giudizio relativamente ai tempi e ai luoghi in cui di volta in volta si presentano i dati, che vengono considerati ognuno secondo i peculiari processi d’interazione che li determinano nei differenti contesti.
Applicarsi ad elaborare ogni volta una teoria occasionale (situazionale),‘questo e ora’, come possibilità residuale di conoscenza. In altre parole, vivere disimpegnato da un bagaglio di vissuto troppo pesante ed operare con strumenti individuati sul campo;
4) L’abbandono, a fronte del proliferare dei dati da esperire, di ogni tentativo di sistemi o teorie generali, e l’impegno a costruire strutture narrative arbitrarie, con la consapevolezza di operare con rappresentazioni simboliche della realtà, pari, per dignità e verosimiglianza, a quella realtà unanimemente creduta “vera”, e buone comunque per una storia assolutamente privata, che si fa agire e si “finge” all’interno di un personale teatrino di credenze, in cui non necessariamente si crede.
Situazione questa che si realizza perfettamente nella figura del narratore.