La 2° edizione di “Ciliegiolo di Maremma e d’Italia”, a Sorano, è stata l’occasione per testare decine di campioni da diverse regioni (i migliori assaggi, tutti alla cieca, in calce all’articolo) e per fare il punto su strategie e filosofie.

 

Nessun pre-filtro, nessun paletto: qui ognuno ha portato il Ciliegiolo che voleva“, mi aveva risposto Edoardo Ventimiglia, tra i riconosciuti dei ex machina della riscoperta del vitigno, alla domanda (“C’è un criterio di ammissione?“) fattagli a bruciapelo mentre si aggirava tra giornalisti impegnati nella Fortezza Orsini di Sorano, nel maggio scorso, a degustare i 57 campioni presenti a Ciliegiolo di Maremma e d’Italia, l’evento di promozione organizzato nel bel borgo maremmano dal Consorzio di Tutela Vini della Maremma Toscana con  Ciliegiolo Academy e Ciliegiolo d’Italia.

Il nostro obbiettivo – aveva continuato – è far sì che il Ciliegiolo trovi da solo una sua via e una sua identità, a prescindere dal prezzo, dal nome del produttore, dallo stile e dalle tecniche di vinificazione. Del resto nessuno, davanti a un Pinot Nero ad esempio, si chiede perchè quel vino costi tanto o perchè venga fatto in un certo modo: semplicemente ne prende atto, lo accetta. Ecco, è lo stesso che vorremmo accadesse col Ciliegiolo. Il che equivale anche a conferirgli una propria, autonoma dignità“.

Ho a lungo ripensato a queste parole scartabellando le note di assaggio e cercando di trovare il bandolo della matassa di una degustazione, quella soranese, che mi pone ogni volta davanti a un bivio: tanta varietà espressiva è, sia sotto il profilo qualitativo che commerciale, un vantaggio o un handicap?

Inevitabile chiederselo davanti a quasi 60 vini di 33 produttori diversi presenti in degustazione, provenienti da Toscana, Umbria, Liguria, Marche e Emilia Romagna.

Una risposta univoca, ovviamente, non c’è. Ce ne sono varie, che dipendono dalle diverse prospettive. E spesso anche da questioni di numeri.

Primo numero: a Ciliegiolo di Maremma e d’Italia erano presenti solo campioni di Ciliegiolo 100%, una scelta esplicita, ma non così ovvia, segno che l’intento è quello di insistere sulla monovarietalità intesa non solo come filosofia produttiva, ma anche come strategia di marketing in un mondo del consumo sempre più orientato in questa direzione.

Secondo numero: “Dei circa 7 milioni di bottiglie prodotte dalle aziende associate Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – ha spiegato il presidente Francesco Mazzei – circa 400.000 appartengono alla tipologia Ciliegiolo, pari al 6%“. Con tendenza alla crescita. “Una tipologia che ben si presta a sempre nuove e diverse sperimentazioni”, ha aggiunto con una postilla non priva di significati.

Terzo numero (dati 2022): coltivato, oltre che in Toscana, anche in Umbria, Lazio, Emilia-Romagna, Marche, Liguria, Basilicata, Abruzzo e, in misura minore, in altre cinque regioni, il vitigno trova la sua maggiore diffusione appunto in territorio toscano con circa 525 ettari, di cui quasi il 60% concentrati in provincia di Grosseto, dove danno vita a numerose etichette della DOC Maremma Toscana Ciliegiolo. Il totale italiano si attesta oggi sui 1.165 ettari, poco più di un quinto dei 6.000 censiti nel 1982 (ma i dati sulla produzione di barbatelle mostrano un forte e costante incremento negli ultimi otto anni).

Quarto numero: i campioni in degustazione andavano dalle 120.000 alle 500 bottiglie prodotte, in rappresentanza di 13 tipologie.

Dagli assaggi ho cercato di trarre spunti ed elementi per aggregare in un unico trend i numeri riportati sopra, tenendo ben a mente da un lato il principio no-filter esposto da Ventimiglia e dall’altro la sensazione di un’euforia forse eccessiva e un po’ dispersiva ricavata nel 2023.

Al netto delle nette e inevitabili differenze legate agli stili e alle aree di provenienza, ho riscontrato una maggiore coesione del “tipo” Ciliegiolo 100%, segno che gli sforzi collettivi, nel rispetto delle individualità, di riunire il vitigno sotto un unico, ancorchè elastico cappello stanno producendo risultati. Mi è parso anche di cogliere nei colleghi giornalisti una maggiore e condivisa messa a fuoco, nonchè un’idea meno soggettiva del vitigno e, quindi, anche una tendenza a giudizi ed aspettative più omogenei.

Ecco il dettaglio dei miei assaggi migliori:

Lady Marmalade, Toscana Igt Ciliegiolo Rosato 2022, Sassotondo: non so se la tipologia rosè tiri fuori il meglio dal vitigno, ma questo vino dal bel colore antico, il naso riccamente fruttato e arricchito con note di geranio, sapido e pieno in bocca, mi è piaciuto molto.

0535, Ciliegiolo di Narni Igt Rosato 2023, Leonardo Bussoletti: pallidissimo all’occhio ma vivace al naso, note citriche che tornano nell’acidità al palato, struttura da rosso.

Tenuta Aquilaia, Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2021, Tenuta Aquilaia: colore un po’ spento, ma naso fragrante e vivo con frutto intenso e bocca tanto equlibrata quanto piacevole, beverino.

Il poderone, Toscana Igt Ciliegiolo 2021, Terre dell’Etruria: affinato in anfora, al naso dà sentori di cenere e di malta fresca, in bocca è godibile, sapido, equilibrato.

Grifo di Narnia, Ciliegiolo di Narni Igt 2018, Leonardo Bussoletti: scarico all’occhio ma ricco al naso con sentori mutevoli e pungenti di rosmarino, erbe officinali, accenni balsamici, in bocca è ancora vivo e pieno.

San Lorenzo, Maremma Toscana Doc 2012, Sassotondo: della verticale 2011-2022 non è il solo che mi ha colpito (gli altri sono il 2015 e il 2017), ma questo 2012, di colore cupo e velato, è davvero un gran vino, con note terziarie appena accennate che non ottundono nè la balsamicità, nè un’ampiezza che in bocca lo rendono solenne e profondo come un grande Aglianico del Vulture!