La band suona stasera a Firenze nel corso della tournee del cinquantenario ma, sebbene li ami molto, non andrò a vederli: meglio ascoltare vecchi dischi che applaudire monumenti.
Stasera, a Firenze, la storica band inglese dei Jethro Tull si esibisce nel corso della tournee per il proprio cinquantenario.
Li ho visti suonare varie volte, li ho amati e li amo moltissimo. Sono un gruppo che considero di massima importanza nella storia del rock and roll. E di tale ruolo mi sono convinto sempre più nel tempo, confrontandone la freschezza durevole dell’opera in rapporto a quella di tanti altri, in passato incensata anche più della loro, ma poi resa fatalmente appannata dal trascorrere degli anni.
Ian Anderson è un musicista fenomenale sia come compositore, sia come esecutore, sia come istrione.
E allora, mi chiede qualche amico, perchè stasera non ti fiondi a vederli?
Risposta facile: esattamente per le ragioni dette sopra.
I dischi migliori sono lontani decenni, delle prime formazioni l’unico superstite è Anderson e, in tutta franchezza, anche se ci fosse qualcun altro dei sopravvissuti della vecchia guardia non so che garanzie potrebbe dare.
A cinquant’anni Grace Slick, non proprio un’educanda benpensante, disse che superata la boa del mezzo secolo per una signora è arrivato il momento di smettere i panni della rocker. I panni, non necessariamente la testa. Ma i panni sì.
Ci sono infatti musiche, ci sono generi, ci sono contesti non adatti alla vecchiaia. Spesso, ben che vada, le esibizioni di grandi vecchi artisti si riducono a gran begli spettacoli per nostalgici o appassionati di bocca buona.
Non c’è niente di male, è la vita.
Non a caso, dieci anni fa lo stesso Anderson aveva dichiarato sciolto il gruppo.
Ora deve averci ripensato.
Il valore di quanto ha fatto certamente non cambia, ma preferisco di molto ascoltare vecchi dischi che applaudire un monumento.