di ANGELO PERETTI
Con strategica pazienza il nostro mette a decantare per  una settimana, riassaggiandola giorno dopo giorno, una bottiglia che non lo convince. Ma che, alla fine, gli si concede appieno. Come le belle donne: è il Terre di Pisa Veneroso 2013, Tenuta di Ghizzano.

 

Certi vini, in genere grandi vini, vogliono l’esercizio della pazienza. Sono pronti quando vogliono loro, non quando pretendi tu. Prima sono ritrosi a concedersi, si chiudono, sussurrano appena, quando non si tratta perfino d’un mugugno. Sta a te capire che sotto quel broncio un giorno ci sarà un sorriso. Per dimostrarlo, per scoprirlo, devi usare la pazienza, che può durare mesi, anni, decenni anche, talvolta.
Penso a certi Bordeaux, che acquisti giovinetti e poi lasci al buio della cantina finché sono maturi. Oppure a talune bottiglie del Barolo, che subito s’arroccano dietro al tannino, e ci vuol tempo perché lascino campo liberamente al frutto, al fiore, alla spezia. Ancora, i rossi spagnoli della Rioja o della Ribera del Duero, che addirittura vengono imbottigliati non con la sequenza esatta delle annate, ma con quella della maturità del vino. Fino ad alcuni fra i più spettacolari cru della Borgogna, che restano scontrosi e ostici e introversi per così tanto tempo.
Anche dalle mie parti, nel Veronese, c’è un’uva che porta inesorabilmente i suoi vini alla riduzione, durante le fasi dell’affinamento in botte o in cisterna o anche in bottiglia. È la corvina, madre dei rossi della Valpolicella e del Bardolino.
Sono tutti rossi per i quali è richiesta rispettosa lentezza, seppur di varia ampiezza. Diceva Reinhold Messner: “Non bisogna andare veloci in montagna. In questi luoghi comanda la lentezza”. Con certi vini è uguale.
Tra le ultime bottiglie che mi hanno richiesto l’uso della pazienza ce n’è una toscana, quella del Veneroso, un rosso ora della denominazione delle Terre di Pisa. Lo fa la Tenuta di Ghizzano. Prevalenza del Sangiovese con un tocco di Cabernet Sauvignon.
Stappai qualche mese fa il 2013, da poco imbottigliato. Non l’avevo mai avuto prima nel bicchiere, né quell’annata, né altre. Per me era un vino sconosciuto.
Verde, rusticamente verde, così mi si presentò all’olfatto. Anche al palato era sgarbatamente crudo, e il tannino era allappante. Però sotto sentivo come fremere il frutto, seppure in quel momento celato.
Decisi di attendere, lasciando la bottiglia aperta, senza tappo, perché s’accelerasse la maturazione, e riassaggiai giorno per giorno. Dopo sei giorni il vino s’era completamente concesso nella sua eleganza fruttata, nella sua trama salmastra e officinale.
Ecco, questa è la prova che si tratta d’un vino che vuole la pazienza, e che dunque va preso e messo nella cantina e atteso, a lungo, finché non decide che è l’ora del concedersi in pienezza, e che pertanto è un gran vino.
Del Veneroso del 2013 ho avuto occasione di stapparne un’altra bottiglia due mesi dopo, insieme alle due annate che l’hanno preceduto. Se fossimo alla risoluzione d’un teorema nei vecchi licei d’un tempo, scriveremmo c.v.d., come volevasi dimostrare.
Da quando è in bottiglia ha delle fasi”, m’ha confermato Ginevra Venerosi Pesciolini, che amministra la Tenuta di Ghizzano. “Nei primi cinque anni di vita – ha aggiunto – il Sangiovese ha delle fasi abbastanza importanti”. Come avevo intuito. Come accade per i rossi di carattere.

 

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