di FEDERICO FORMIGNANI
In “Mediterraneo, un nuovo breviario”, del croato Predrag Matvejević, i passi dedicati alla Dalmazia e dintorni evocano i luoghi, le parole e i miti dell’Adriatico.
Ho visitato la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, quando ancora erano regioni della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia del Maresciallo Tito.
Nella seconda metà degli anni Sessanta (mio primo viaggio) la Jugoslavia mi era apparsa tetra, diffidente. Non erano poi così lontani gli anni degli esodi forzati dall’Istria, la presa di Trieste da parte dei miliziani di Tito al grido di “život damo, Trst ne damo” (daremo la vita, non daremo Trieste) e la visione di case distrutte nei piccoli centri dell’Istria, dopo il passaggio dei militari in marcia verso i nostri confini. A Visinada, uno dei paesi dell’interno, avevo fotografato – non senza qualche grana con la Polizia – una piccola lapide rimasta intatta sul muro di una casa, lapide che inneggiava al re d’Italia, promettendogli l’eterna fede della comunità locale. Ricordo con nostalgia le mie soste patriottiche ed emotive nell’Arena di Pola, il passaggio sotto l’Arco Romano di Fiume all’ingresso della città vecchia e la sosta ammirata nella splendida piazza dei Signori di Zara, con i suoi molti palazzi storici di italica bellezza. Anni dopo, prima della drammatica dissoluzione della Jugoslavia, avevo aggiunto altri fotogrammi: Lubiana con il ricordo ricorrente del nome Slon (Elefante!) dato a uno storico ristorante; l’austera Zagabria con le due torri appuntite della cattedrale; la frescura avvolgente dei laghi di Plitvice e, soprattutto, il vecchio ponte di Mostar prima che venisse distrutto e l’incredibile palazzo di Diocleziano a Spalato, cuore della Dalmazia.
Nel 1987, poco prima dell’orrore della guerra dei Balcani, è stato dato alle stampe un libro sublime, di uno scrittore croato in seguito naturalizzato italiano: Predrag Matvejević. L’edizione croata è apparsa in Italia nel 1991 (“Mediterraneo, un nuovo breviario”) con una introduzione in carattere (“Per una filologia del mare”) scritta da Claudio Magris. Il libro è un fantastico catalogo della vita del mare o sui mari: il Mediterraneo è composto infatti da molti mari e l’Adriatico, quello che bagna la Dalmazia, già nell’anno 1069 era stato chiamato dal re croato Petar Krešmir: “mare nostrum dalmaticum”, mentre in seguito un viaggiatore turco, nel suo Racconto di Viaggio, lo aveva definito “venedik korfezi” (golfo di Venezia). Secondo le latitudini, il mare Adriatico cambia poi nome: è “more” nelle lingue slave, “pelagos” nelle isole della costa dalmata del sud, mentre a Dubrovnik diventa “kulaf” (golfo).
Il Breviario passa in rassegna le parole e la vita delle popolazioni dalmate alcune delle quali (i contadini dell’interno) poco sapevano di mare, ma molto hanno appreso dalla secolare presenza dei Veneziani. Ecco allora la poesia essenziale di Matvejević, che si dispiega ricordando le mille contaminazioni di parole e di vita lungo la costa; sia quando parla dei cibi e delle bevande (il sale marino e l’olio di oliva, il fico secco e la sardella salata, il vino rosso e bianco), sia quando spazia fra gli oggetti della vita di terra e di mare (la damigiana che ha sostituito l’anfora, la cisterna, la vasca di pietra, il barile e la cantina, le funi, le nasse, le cassette e i palamiti, gli scrigni e i bauli), sia infine quando conclude con i luoghi di incontro e di riferimento della gente (la “ciacola” e il piacevole conversare, la spesa, la pescheria, la bottega e l’osteria, le finestre e gli scuri – cioè le loro persiane – i lumini, le lanterne e i fanali nel porto e per la strada).
La Dalmazia affaccia integralmente sul mare Adriatico, un mare che da generazioni accoglie e perpetua antiche leggende, forse prive di testimonianze o documentazioni, ma tutte di grande fascino. A cominciare dalle Isole Brioni, che i locali indicano come frammenti di paradiso sparpagliati da angeli disattenti. Qui sarebbero stati rinvenuti resti di dinosauri presenti 150 milioni di anni fa. Sulla penisola istriana, ecco Pola, città nella quale è terminata l’avventura degli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, impresa fallita e aggravata dalla perdita di Giasone. Altro personaggio, Antenore, eroe greco che dopo aver risalito l’Adriatico avrebbe fondato la città di Padova. Nella parte meridionale del mare, specie nelle isole Tremiti, sopravvive il mito di Diomede, re di Argo, alla ricerca di un nuovo approdo individuato prima lungo le coste pugliesi, quindi nelle isole. Luoghi questi frequentati anche dai Pelasgi, popolazioni pre-elleniche che risalendo la penisola pare abbiano stabilito insediamenti prima nelle Marche e – secondo lo storico Strabone – in seguito anche più a nord, nel ravennate.
Da ultimo, il mito di Ulisse. Si pensa che i luoghi frequentati dall’eroe omerico siano stati quelli conosciuti di altri mari (Egeo, Ionio, Tirreno) dopo che Roma aveva conquistato l’intero Mediterraneo. Ma prima ancora, il mito dell’eroe era ovunque: ogni terra ne disputava la presenza, non escluse quindi quelle delle coste adriatiche della Dalmazia.