di LORENZO COLOMBO
Gilberto Farina de La Piana di Carate Brianza è uno chef di lungo corso con esperienze alla Vecchia Filanda di Cernusco sul Naviglio e all’Enoteca Pinchiorri di Firenze. E sa che il covid non è l’unico male del settore…

 

Come ti sei comportato durante il primo lockdown?

 

Abbiamo chiuso subito, avvertendo la responsabilità di dover contribuire agli sforzi che l’intero Paese stava mettendo in campo per contenere la diffusione del virus, usufruendo in parte della cassa integrazione verso i nostri cinque collaboratori. Abbiamo riaperto ai primi di giugno.

 

Come hai sfruttato quei mesi di chiusura forzata?

 

Ne abbiamo approfittato per sistemare  i locali, riorganizzare la cantina, mettere in pratica le disposizioni ed attuare i protocolli che ci potessero permettere di riaprire in sicurezza. Mi sono poi riguardato tutti i menù dal 1993 ad oggi, ho rivisto ed ampliato il menù business per il pranzo ed ho trovato il tempo per studiare, leggendo i numerosi libri a tema “cibo e vino” della mia biblioteca. Il contatto con i miei clienti l’ho mantenuto attraverso una newsletter e un blog di ricette, con un questionario per capire cosa si aspettassero alla riapertura.

 

Quindi non hai pensato di attivarti con l’asporto ed il delivery?

 

No, nella prima fase del lockdown sia il ristorante che la locanda erano completamente chiusi.

 

Quanto t’è costata la chiusura?

 

Ci sono stati i costi di adeguamento alle nuove normative, i corsi di aggiornamento e formazione per il personale, la dotazione degli strumenti di sicurezza e poi la riduzione del 40% dei coperti dovuti ai distanziamenti.

 

E la riapertura estiva com’è andata?

 

Bene, i clienti abituali non vedevano l’ora di poter risedersi al tavolo di un ristorante, però è durata poco.

 

E nel secondo lockdown?

 

Abbiamo attivato l’attività di asporto e l’abbiamo sempre mantenuta come proposta. Al secondo lockdown, lavorando da solo, ho cercato di diversificare le proposte e ho aggiunto il servizio delivery per sopperire all’impossibilità di spostamenti tra comuni, ma senza risultati entusiasmanti. Qualcosa in più s’è smosso a fine novembre ed allora, a turni, ho fatto rientrare il personale.

 

Pensi che i ristori messi in atto dal governo siano stati sufficienti?

 

Le discussioni sul tema sono su tutti i giornali, da buon brianzolo chiedo solo la possibilità di lavorare in sicurezza e di poter continuare a credere nella professione che ho scelto, nei suoi valori e nelle sue potenzialità.

 

E per quanto riguarda il futuro?

 

Dopo 28 anni la passione c’è ancora tutta, altrimenti non si potrebbe fare questo lavoro, ma il morale è sotto i piedi. La burocrazia si prende il 50% del mio tempo, tra nuovi adempimenti e aggiornamenti che richiedono molta attenzione e il ricorso a specialisti, che incidono ovviamente sui costi. Poi l’impossibilità di poter programmare, la mancanza di tempi certi in cui poter operare e la difficile gestione di un’attività come la mia in uno scenario come questo.

 

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