Fare informazione non significa dare risposte a priori o avallare certezze, ma porre domande e sollevare dubbi, dividendo fatti e opinioni. Però accade il contrario, perchè sono saltati i paletti fra i ruoli.
Sono spesso ironico, e a volte un po’ sferzante, lo ammetto, verso quei colleghi, e sono tanti, che paiono non avere mai dubbi e vergano con sicurezza apodittica le loro verità su qualsiasi argomento. Loro verità nel senso che, di frequente, più che cronache sembrano opinioni.
Forse è una questione di carattere, forse di scuola, forse di abitudine, ma personalmente, anziché coltivare certezze, tendo a coltivare dubbi. Il che mi porta a fare a me stesso, e perciò ai miei interlocutori, domande.
Le stesse domande che poi, negli articoli, cerco di trasmettere ai lettori. Non suggerendo risposte, ma offrendo loro un ventaglio di argomenti per far capre che quasi mai il mondo è tutto bianco o nero, fatto di buoni e cattivi, di noi e di loro, ma costituisce una realtà complessa di cui, prima di farsi un’idea, è necessario conoscere le molte variabili.
La mia potrà sembrare un’ovvietà. E dal punto di vista teorico lo è senz’altro. Ma da quello pratico un po’ meno: vedo quasi ovunque predicare bene e razzolare male, gente che si schiera sapendo di schierarsi e spesso proprio volendolo. Vedo giornalisti-militanti e ancor di più militanti-giornalisti, ossia ciò che di più lontano esista dalla professione e dall’idea che ho dell’informazione.
Naturalmente non nego che un collega possa avere una propria opinione, ci mancherebbe. Contesto però che questa opinione possa essere tale da orientare del tutto la sua percezione e quindi la sua narrazione dei fatti, trasformando la cronaca in propaganda.
Il fenomeno poi si dilata, deflagrando, perché spesso ogni cosa finisce nella betoniera dei social, ove tutto si sovrappone, si mescola, si altera contribuendo ad alzare l’impenetrabile cortina di opacità all’interno della quale una reclame camuffata da giornalismo sguazza.
Riconosco di non avere soluzioni in mano per rovesciare questo problema, ma solo diagnosi. Ci vorrebbe qualcuno che ribadisse le regole e le facesse rispettare, (ri)mettendo dei paletti e vigilando sulla loro inviolabilità. Ma mi rendo conto che è difficile arginare un’inerzia socialmente accettata, soprattutto se si è perduto il senso della differenza, e quindi del ruolo, tra le diverse figure.