Psicologicamente parlando, il terreno era stato preparato bene, con l’incubo della “tempesta artica” in arrivo che aleggiava da giorni sui media.
Poi, domenica, cominciano a diramarsi gli “allerta arancione”, un po’ come i fallacci da dietro nel gioco del pallone: messaggi per far capire che, più che giallo intenso, è quasi rosso.
Ieri, infine, via libera all’allarme vero e proprio: prevista neve a ogni quota, scuola chiuse precauzionalmente e ridicoli “consigli” ai cittadini (uscite solo se necessario, coprite gli anziani, usate suole antiscivolo, andate piano alle curve, indossate camiciole di lana) elargiti da siti web e pubbliche amministrazioni.
Non ho notizia di casi di accaparramento, ma le disdette di appuntamenti, i viaggi rimandati, le occhiate preoccupate al buio fuori dalla finestra si sono sprecati. Copricapi siberiani sull’attaccapanni, bimbi pronti a pallate all’ultimo biancore.
Poi il “chilly tuesday”, cioè oggi, arriva davvero.
Forse sarò smentito, ma fuori dalla persiana è tutto normale: il cielo bigio di una comune giornata invernale perturbata, cinque gradi tranquilli di un gennaio qualunque di un anno qualunque, non un fiocco, non un ghiacciolo, non un alito di vento.
Di inusuale c’è solo una cosa: il silenzio plumbeo e l’immobilità diffusa, tipici di certi giorni festivi profondi, che gravano su un mondo che dovrebbe febbrilmente lavorare.
A dimostrazione che, come la neve vera, nemmeno quella immaginaria fa rumore.