di ROBERTO GIULIANI
Amarone della Valpolicella Classico Vigneto Monte Sant’Urbano 1993 Speri: un vino oggi all’apice delle sue possibilità. Forse  la discesa è dietro l’angolo, ma al momento è monumentale, tra i più sorprendenti assaggiati finora.

 

Erano altri tempi, non c’è dubbio. Nel 1993 l’Amarone più importante arrivava a toccare i 15 gradi di alcol, oggi persino il Valpolicella Superiore Ripasso li supera. Erano altri tempi anche perché la famiglia Speri non si era ancora “convertita” al biologico, per quello tocca aspettare il 2000.

Erano altri tempi perché l’allora presidente del Consorzio di Tutela vini Valpolicella, Carlo Speri, contribuì a ottenere un decreto nel quale finalmente l’Amarone prendeva una propria strada, liberandosi una volta per tutte dall’apparire come versione secca del Recioto della Valpolicella.

L’annata 1993 non fu certo eccezionale, ma in Valpolicella, a parte per coloro che ad agosto si sono visti falcidiare vari filari a causa delle grandinate, è stata sicuramente buona, più qualitativamente che quantitativamente; primavera scarsamente piovosa, con una fase nel mese di marzo piuttosto calda, situazione che si è verificata anche in estate, con un caldo importante e pochi casi di pioggia che, se da una parte ha evitato il rischio di malattie per le viti, dall’altra ha prodotto sofferenza da mancanza d’acqua nei vigneti di medio-alta collina. La situazione si è poi risolta in gran parte grazie all’arrivo delle piogge nell’ultima decade di agosto, che hanno consentito di restituire vitalità alle piante e di concludere il ciclo vegetativo.

L’Amarone della Valpolicella Classico Vigneto Sant’Urbano 1993 (allora DOC) proviene dall’appezzamento omonimo, situato nel comune di Fumane a un’altitudine che va dai 280 ai 350 metri s.l.m. ed è ottenuto da Corvina veronese per il 70%, Rondinella per il 25%, Corvinone e Molinara per la restante parte.

L’affinamento si è svolto per 24 mesi in barrique di Allier (successivamente sostituite dai tonneaux) e per 18 in botti di rovere di Slavonia.

Lo degustai per la prima volta nel 2000 e ne rimasi colpito, ma quello che mi trovo davanti oggi va oltre ogni aspettativa. Tra l’altro il tappo l’ho estratto senza alcuna difficoltà e l’ho trovato perfettamente integro.

Oltre ad avere un colore granato profondo, esprime una complessità notevole e la parte terziaria non è l’unica a farsi notare, c’è ancora un bel frutto maturo, mora, ciliegia nera, prugna, cenni balsamici, caffè, cacao, tabacco dolce, sottobosco, cuoio, ma mi colpisce soprattutto per la quasi totale assenza di percezioni ossidate, dopo 32 anni era quasi scontato che ci fossero.

Al palato colgo ancora una base acida rassicurante, il frutto è copioso e leggermente dolce, trasuda spezie di ogni genere, pepe, chiodo di garofano, cardamomo, cannella, curcuma e molte altre.

Mi sforzo di essere obiettivo, cosa non facile tanto è buono, ma ritengo che sia davvero all’apice delle sue possibilità e che la discesa sia dietro l’angolo, ma al momento è un Amarone monumentale, davvero tra i più sorprendenti assaggiati fino ad ora.

 

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