Una volta c’erano i muri e i diari scolastici. In qualche caso anche quelli personali, destinati a saltare fuori dagli scatoloni, tra sorrisi di nostalgia, quarant’anni dopo.
Era lì il luogo a cui e in cui erano destinati i pensieri dei passaggi generazionali dei bambini, poi adolescenti, poi ragazzi, poi giovani e infine quasi adulti. A sfogliarli ci si (ri)leggeva lo stupore di fronte al tempo che passa e ai sentimenti che mutano, ai cambi anche radicali di prospettiva e di modo di osservare che, passo dopo passo, accompagnano la fase cruciale della vita compresa tra i 10 e i 25 anni, le sfumature, gli smarrimenti, i primi e sbalorditi momenti in cui ci si accorge che, cosa mai accaduta in precedenza, c’è qualcosa per pensare alla quale occorre volgersi indietro anzichè guardare all’oggi o al domani.
Niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci. E’ una storia che si ripete da sempre.
Quello che fa specie adesso, però, è che tutto ciò non appartiene più all’intimità delle pagine scarabocchiate tra una versione di latino e una formula algebrica e poi dimenticate nei cassetti, o alla cripticità un po’ volgare e un po’ fugace del graffito sul muro. Tutto o quasi è affidato invece a quella sorta di pubblico confessionale che sono i cosiddetti social. Facebook, in particolare. Il mezzo ideale per esprimere coram populo, ma nascosti dietro l’immaginario paravento del monitor, sentimenti che si ha urgente bisogno di dichiarare ma di cui un po’ pure ci si vergogna, in quanto spie della nostra vera o presunta debolezza.
Così stamattina accendo il computer e leggo l’elegia di un più-giovane-di-me-ma-non-più-giovane-nemmeno-lui amico. Uno di quelli che fino a un paio di anni fa mi dileggiava bonariamente perchè ero, o gli sembravo, o mi comportavo da “vecchio” perchè descrivevo le cose osservandole proprio dalla prospettiva dalla quale, oggi, per la prima volta le osserva lui.
Benvenuto nel mondo, ragazzo. E’ bello ritrovarsi e capirsi.