Mio nonno si chiamava Giuseppe e, come tutti, in gioventù aveva giocato a pallone. Si vantava – autobeffardamente – di essere stato un “terzino di finta”, variante astuta del più classico “o palla o gamba”.
Il gioco del terzino di finta, mi spiegava, consisteva nel non calciare quasi mai il pallone, ma solo di simulare il gesto, lasciando poi che la palla seguisse il suo percorso. L’effetto poteva essere duplice: o ingannava l’attaccante, che con classe e tripudio del pubblico veniva fatto fesso, o gli consentiva di involarsi solitario verso la porta con inevitabile segnatura.
In pratica, era una lotteria molto spettacolare.
Sono passati cent’anni e al posto di Giuseppe c’è Giuseppi, che per fortuna non è nemmeno mio lontano parente perchè di cognome fa Conte ma, ahinoi, è il premier.
Giuseppi ha fatto della finta una filosofia di vita e un’arma di lotta politica, eruttando senza sosta bozze e ribozze di atti, provvedimenti, decisioni, fantasie, progetti e suggestioni propalate ad arte e lasciando così il paese con le idee sempre confuse, in perenne incertezza su come stiano le cose.
L’apice di questa perversa vocazione s’è toccato in questi giorni pandemici: è mezzogiorno del venerdì prenatalizio e gli italiani non sanno ancora cosa potranno fare dalle 00.01 di domattina.
Come se poi la gente si muovesse solo per panettoni, shopping e cenoni e non anche per necessità familiari o lavorative più serie e complesse.
Un buffone artefice dell’ennesima buffonata.
Mi auguro che non mangi la colomba pasquale e anzi neppure i cenci per Carnevale, ma solo il copioso carbone che gli porterà la Befana (libera di muoversi senza autocertificazione, in barba a lui).