di ROBERTO GIULIANI
Salvo Cravero e il suo Pepe Nero, a Capodimonte, sono un punto riferimento nella ristorazione sul Lago di Bolsena: “manico”, esperienza, originalità buon gusto e niente finta tipicità un tanto al chilo.
Il mondo della ristorazione italiana è estremamente vario, esistono migliaia di locali “rassicuranti”, che fanno una cucina più o meno territoriale, senza particolare fantasia, solidamente ancorata al concetto di piatti saporiti e abbondanti, perfetti per chi vuole riempirsi lo stomaco senza particolari emozioni.
Piatti come capi d’abbigliamento, soprattutto nelle piccole località dove trovi lo stesso tiramisù, le stesse pappardelle, lo stesso abbacchio alla scottadito, qualcuno più buono e qualcuno meno.
È il regno di Trip Advisor, dove tutti giudicano liberamente a prescindere dalle loro capacità di lettura, spesso creando problemi a ristoratori che hanno avuto la sfortuna di trovarsi loro malgrado inseriti in questo circo mediatico senza regole.
Ovviamente non è tutto così, ma provate a cercare i ristoranti segnalati in una zona specifica e troverete che i “migliori” sono spesso i più dozzinali, quelli dove vedi foto pietose di piatti che a casa faresti cento volte meglio, mentre quelli che ci hanno messo anni di studi ed esperienze per fare una cucina di qualità, dove la materia prima è lavorata in modo ottimale, si trovano valutati molto più in basso, con la critica di piatti incomprensibili, scarsi e prezzi troppo alti.
Ma la buona ristorazione grazie a Dio c’è.
Nel centro Italia, ad esempio, la Trattoria del Cimino a Caprarola (VT), Da Gregorio a Morrano Nuovo (TR) o da Essenza Trattoria Moderna a Monterotondo (RM), da Antico Mulino a San Felice Circeo (LT), dove si va ben oltre i soliti piatti, si punta alla qualità delle materie prime, a una cucina radicata nel territorio ma non succube di tradizioni intoccabili, dove la creatività è legata alla ricerca, accostamenti meditati che impongono una maggiore attenzione ad ogni assaggio.
Giorni fa, in gita sul Lago di Bolsena, sono stato da Pepe Nero a Capodimonte, il ristorante di Salvo Cravero, a mio avviso un punto di riferimento nel territorio della Tuscia viterbese, che guarda caso su Trip Advisor è uno di quelli totalmente sottovalutati, e come mi aspettavo è stata una bellissima esperienza.
Salvo, molisano classe 1977, ha oltre trent’anni di carriera come chef, ha studiato presso l’Ipsar Alberghiero di Termoli, ha fatto le sue prime esperienze come aiuto cuoco in vari locali e poi nel 1998 si è trasferito a Viterbo iniziando a lavorare presso il Grand Hotel Salus.
Fa esperienze allo stellato Sans Souci e a L’Antico Bottaro a Roma, entra nella mitica associazione Euro Toques fondata da Gualtiero Marchesi, dove ha ampliato ampliare le sue conoscenze e, finalmente, con Sara apre il suo primo ristorante a Vetralla (VT), L’Etoile, che lo porta a importanti successi nelle guide e alla notorietà televisiva. Nel 2018, insieme a Joe Bastianich, cura i menu per la prima classe “Magnifica” dell’Alitalia (sigh!) e poi per l’ITA Airways. Le sue esperienze abbracciano anche quella con la famiglia Masciarelli al Castello di Semivicoli.
Da alcuni anni Salvo Cravero insegna: lo ha fatto da Boscolo Etoile Academy e Coquis dei fratelli Troiani e collaborando tutt’ora con la Gambero Rosso Academy. Inoltre conduce corsi di caseificazione, tanto da avere una piccola produzione con al centro il caprino a latte crudo, frutto di una collaborazione con un amico allevatore. Infine, nel 2020 ha dato vita ai “Corsi arte bianca”, su pizza, pane e lievitati, rivolti a professionisti e appassionati.
La cucina odierna di Salvo Cravero mette ovviamente al centro le materie prime, meglio se locali, con una ricerca dell’equilibrio tra accostamenti e presentazione, senza inutili “impalcature” e con sapori sono diretti, mai prepotenti.
Il menu prevede due percorsi di degustazione: “Radici e alchimie” (4 portate a 65 euro o 6 portate a 80 euro) e “Il viaggio del gusto” (4 portate a scelta ad eccezione del “Nudo e crudo”, a 65 euro); alla carta c’è un’offerta ponderata, direi perfetta, non troppe portate ma neanche poche, infatti abbiamo 5 possibili antipasti, 5 primi, 4 secondi, 3 contorni e 5 dessert (compreso un piatto di formaggi caprino, vaccino e pecorino).
Abbiamo ordinato cose diverse, apprezzando il pane fatto con lievito naturale e grani selezionati, abbinato ad un ottimo olio EVO da monocultivar caninese. La qualità era evidente: cottura perfetta, croccante fuori, mollica tenera, giusta umidità e sapore fine e persistente, nessun segno di acidità (il lievito madre tende a produrla naturalmente per la presenza di batteri lattici e lieviti).
Tra gli antipasti abbiamo scelto “L’Astice e l’orto”, ovvero una diversa interpretazione dell’astice alla catalana, con astice al vapore, cipolla rossa in osmosi, olive taggiasche, verdure di stagione, erbe, pomodorini e maionese allo zenzero: un piatto freschissimo, estivo, dai mille profumi dove l’astice esprimeva una carne tenera e saporita.
Il secondo antipasto era “Mare & fumo”: cappesante provenienti da Hokkaidō, molto diverse per consistenza e sapore, affumicate con legni aromatici, guarnite con spuma di peperoni rossi alla brace, olio al basilico e popcorn di maiale, piatto che mi ha colpito per eleganza degli accostamenti e una tenerezza e ricchezza di sapore della cappasanta davvero emozionante.
Come primi abbiamo scelto la “Marinara evoluta”, ovvero cavatelli con sugo di cozze alla marinara, albumi e semola, dressing di prezzemolo e polvere di limone nero (black lime), un piatto che ho apprezzato molto per consistenza, Salvo Cravero ha voluto esaltare l’importanza della masticazione come mezzo per far fondere i sapori in progressione, rivelandosi ad ogni morso, obiettivo perfettamente riuscito.
L’altro primo era “Assoluto di gambero ventiventicinque”, spaghettone artigianale, estratto di gambero rosso, battuto di gambero rosso, foglie di maggiorana fresche, e olio al peperoncino habanero; un piatto il cui “sugo” non era ottenuto da pomodoro ma dalla lavorazione stessa del gambero. Spaghettone cotto alla perfezione, al dente ma non quasi crudo come a volte capita in certi ristoranti stellati, la leggera piccantezza dell’olio esaltava il sapore del gambero, notevole l’equilibrio dei sapori.
Come secondo abbiamo preso la “Frittura d’autore” perché invece dai soliti calamari e gamberi, era composta di calamaretti spillo, lattarini, gamberi rosa, aromatizzati con paprika dolce, cipollotto, basilico, pepe rosa e lime. Ne è valsa la pena, frittura asciutta, gustosa, per nulla pesante, che abbiamo accompagnato con un’ottima “Giardiniera fatta in casa con verdure di stagione”.
Ad accompagnare quest’ottimo pranzo sulla riva del lago, un classico di Franz Haas, il Petit Manseng, 2023, un vino che ha saputo adattarsi perfettamente alle diverse portate, dal profumi intenso di frutta esotica, agrumi, erbe aromatiche e riverberi minerali. A proposito, la carta dei vini è ampia e comprende anche interessanti etichette internazionali.
Infine i due dessert: “Terra di Tuscia”, composta da streusel di nocciole (burro, farina, zucchero, nocciole, infornate e poi sbriciolate), ganache montata alla nocciola, olio EVO e miele, nocciola pralinata, terriccio di cacao, polvere di funghi, erbe spontanee, corteccia di nocciola, fiore di finocchio, mentuccia e spugna di finocchio. Una dimostrazione di quanto la pasticceria possa essere complessa e variegata, e proprio per questo nota dolente in molti ristoranti, che proprio per questo preferiscono i dolci più semplici e meno rischiosi. Questo era un trionfo di sapori, sentire balsamicità in un dolce del genere non è certo sensazione frequente, chapeau!
L’altro dolce, infine, si chiama “Salt Bae”, una sfera croccante di tiramisù con cuore liquido al caffè, crumble di cacao e cristalli di sale. E qui la citazione rivisitata del suggerimento di Humphrey Bogart a Woody Allen mentre tenta di conquistare Diane Keaton in “Provaci ancora, Sam” è d’obbligo: “in vita mia di tiramisù ne ho visti e mangiati tanti, ma questo è qualcosa di realmente diverso!”.
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