di FEDERICO FORMIGNANI
Il gergo è la lingua esclusiva parlata da specifici gruppi sociali e si evolve continuamente. Da sempre il mondo ne è pieno: lo usano ladri, carcerati, sette religiose, associazioni politiche e perfino i mendicanti.
L’esigenza di una parlata diversa da quella usata dalla maggioranza della popolazione di un determinato territorio, ossia di un gergo comprensibile solo dagli individui appartenenti ad uno specifico gruppo sociale, è vecchia quanto la maledizione della confusione linguistica di Babele.
Il dialetto stesso, a suo modo, assolve una funzione paragergale: è noto infatti che in molti casi la parlata dialettale risulta spesso incomprensibile anche fra aree tra loro relativamente vicine.
La mancanza di documenti impedisce di formulare definizioni precise e rigorose sull’origine storica dei vari fenomeni gergali indoeuropei, tuttora vivi o da tempo caduti in disuso. Notevoli sono peraltro le difficoltà che si frappongono ad una classificazione scientifica della materia. Fra i principali fattori che lo impediscono: marcata diffidenza dei gerganti nei confronti di coloro che non appartengono al gruppo; accentuata mobilità geografica di coloro che parlano un gergo e rapida evoluzione, dovuta a cause e circostanze esterne, che il gergo subisce coniando vocaboli nuovi e tralasciandone altri non più confacenti all’uso corrente.
Il termine “gergo”, anticamente detto gergone, proviene dall’antico francese jergon. Il gergo è una lingua speciale praticata da una classe sociale, da una setta ed è anche il modo particolare di comunicare di chi esercita un determinato mestiere, non esclusi individui dediti ad attività delittuose. Questo modo di parlare si prefigge, oltre che di favorire l’intimità della comunicazione interna, anche quello di “chiudere” verso gli estranei che non debbono avere accesso a questa particolare forma di interscambio verbale.
Il gergo attualmente in uso nell’area di lingua italiana è soprattutto quello della malavita. Esso affonda le proprie radici nel furbesco tardo-medievale, del quale esistono testimonianze scritte a carattere letterario ed è integrato da voci sopravvissute di gerghi limitati a ristrette zone geografiche o a categorie corporative o pseudo professionali (tecnici, artigiani, ciarlatani, contrabbandieri ecc.).
Non è però da considerarsi gergo, per quanto il giudizio comune lo consideri tale, il linguaggio degli zingari, di origine sanscrita.
Cicerone spiega la voce gergale “gèsto” quale “…movimento della persona a volte esprimente un significato”. Da questo vocabolo è derivata la parola “gestro, plurale gestri”, ovvero “piccoli atti smorfiosi”. Nel provenzale troviamo i termini gergón e gergó, voci di origine oscura che avrebbero dato luogo a quelle francesi jargón e gergón, risalenti al XII secolo. Altre voci antiche di analogo significato erano le spagnole gerigonza (ancora precedente: girgonza) e la portoghese gerigonça.
Nei diversi vocabolari della lingua italiana vengono esaminati le numerose varianti originate dalla parola “gergo”. Vediamone alcuni. Nel “Vocabolario dell’uso Toscano” redatto da Pietro Fanfani, viene segnalata la voce popolare pratese di gergolina a indicare una donna leziosa, dal carattere e dalle parole sfuggenti. Il Dizionario Etimologico Italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, indica la parola gergo come voce del XV secolo. I derivati gergale e gergonare sono del XVI secolo, mentre gergare e gergone risalgono, seppur di poco, a periodi precedenti. Tra le categorie di persone che fanno uso del gergo, Battisti e Alessio ricordano i ladri, i carcerati, le sette religiose e le associazioni politiche.
In ogni parte del mondo e da tempo immemorabile, esistono i gerghi e tutti hanno i loro nomi a seconda delle lingue impiegate; a loro volta queste lingue si differenziano non poco dalla lingua madre e costituiscono veicolo di interscambio di persone appartenenti a gruppi sociali o comunità che vivono una vita autonoma rispetto a quella della maggioranza della popolazione. L’Aféno e l’Afénskij sono parlati in Russia, il Bargoens in Olanda, l’Argot francese è il linguaggio dei clochards parigini (e che slang avrà parlato Aqualung, il famoso mendicante cantato dai Jethro Tull?) mentre in Portogallo si pratica il Calão o la Giria, poco differenti dal Caló spagnolo e dalla Germanìa (da hermanos, fratelli) ovvero lingua della fratellanza. Se in Inghilterra si parla il Cànt, negli Stati Unuti d’America si pratica lo slang, che oggi sta anche a significare la lingua ufficiale, però modificata nelle moltissime aree geografiche del grande paese. Per terminare con l’Europa, abbiamo il gergo greco che si chiama Dòrtico e quello boemo, detto Hanty’rka, mentre in Germania si parla il Rotwèlsh. Per finire, ecco il Lunfardo argentino e il Replana peruviano.