di ANDREA PETRINI

La Calabria e i suoi vini sono da qualche tempo sugli scudi: premi, riconoscimenti, eventi, riflettori accesi. La domanda è se il sistema-vino calabrese avrà le spalle abbastanza forti per reggersi anche quando le luci si spegneranno.

 

La Calabria del vino vive un momento mai visto prima.

Eventi, prime pagine, masterclass e massima copertura social: i riflettori sono puntati su una regione che per decenni è rimasta ai margini del panorama enoico nazionale, relegata a fornitrice silenziosa di uve o a etichette senza volto. Oggi tutto è cambiato: sfilano Gaglioppo, Magliocco, Greco bianco e Mantonico interpretati con freschezza e identità da una nuova generazione di vignaioli che unisce visione e radici. La Calabria si racconta e finalmente lo fa con voce propria, moderna, consapevole, in linea con i codici del vino contemporaneo.

Due eventi rappresentano questo fermento: il Calabria Merano Wine Festival, che ha portato nella regione il format e la firma di una delle istituzioni più prestigiose del settore, e Vinitaly and the City – Sibari, versione itinerante della fiera veronese, che ha scelto il cuore dell’antica Magna Grecia per un’inedita tappa all’insegna di cultura, gusto e territorio.

Ma la vera novità è che questo rinnovato entusiasmo si traduce anche in premi e riconoscimenti che mai, prima d’ora, erano arrivati. Per la prima volta un vino calabrese ha ottenuto la Gran Medaglia d’Oro al Concours Mondial de Bruxelles, uno dei concorsi più autorevoli a livello internazionale. E il Calabria IGP Gaglioppo Rosato 2024 della cantina A’ Vita ha conquistato il primo posto nella guida “100 Best Italian Rosé 2025”, la selezione ideata da Luciano Pignataro e curata da Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Granieri e Raffaele Mosca, che ogni anno individua le cento etichette rosate italiane più rappresentative. Riconoscimenti come questi, un tempo impensabili per una regione considerata periferica, testimoniano che i vini calabresi non solo si stanno facendo notare, ma stanno finalmente entrando nei radar del mercato e della critica internazionale.

Eppure, tra i brindisi e gli applausi, tra una storia su Instagram e l’ennesima dichiarazione di rinascita, una domanda resta sospesa: cosa accadrà quando le luci si spegneranno? Perché se è vero che oggi tutti vogliono parlare della Calabria del vino, domani – quando probabilmente l’attenzione si sposterà altrove – servirà capire chi resterà davvero. Le piccole aziende, che costituiscono l’ossatura vera di questo rinascimento, hanno le spalle larghe abbastanza per affrontare il dopo?  Le infrastrutture, le reti distributive, il turismo, la formazione, la logistica: esiste un sistema in grado di reggere quando finirà l’euforia? E soprattutto, queste aziende saranno in grado di sopravvivere se le promesse della politica – oggi presente e sorridente tra i calici – non verranno mantenute? Il rischio che il contraccolpo sia pesante è concreto, specie per chi ha investito tutto confidando in un futuro diverso. Una “nouvelle vague” non si misura con il numero di post né con la presenza agli eventi, ma con la capacità di costruire futuro. E chi oggi racconta la Calabria del vino, chi la celebra, chi la promuove, dovrebbe anche avere l’onestà di farsi qualche domanda in più. Perché volere bene a questa regione – davvero – significa anche chiedersi cosa resterà quando i taccuini, le fotocamere e i microfoni migreranno verso altri lidi e la moda inevitabilmente passerà. Il resto sono luci. Belle, ma destinate a spegnersi. A meno che qualcuno non impari a camminare anche al buio.

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