VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani
Cefalonia è sorella maggiore di Itaca, l’isola di Ulisse. Eppure Makis Metaxas, Prefetto di Cefalonia e di Itaca, diceva che l’astuto eroe potrebbe essere nato proprio a Cefalonia. E quindi aver anche fatto il bagno nelle acque cobalto delle grotte alimentate da misteriosi fiumi ipogei…
L’isola di Cefalonia, dalla vaga forma di un grosso pipistrello svolazzante, si atteggia a sorella maggiore della vicina Itaca, che vive di gloria riflessa e da sempre è nella storia avendo dato i natali all’eroe Ulisse. Anche se sono passati un po’ di anni, mi ritorna all’orecchio il tono di voce – fra l’ufficiale e il risentito – di Makis Metaxas, Prefetto di Cefalonia e di Itaca. Si, è vero, sono molti gli elementi e i riscontri storici e archeologici che giocano a favore di Itaca, diceva; ma non va dimenticato che non sono poche anche le testimonianze che dicono il contrario, cioè che l’avventura universale di Ulisse e del suo cantore Omero, potrebbe aver avuto scenari geografici differenti. Sorseggiando una bevanda fresca nel giardino della sua casa di Argostoli, Makis ottiene il sostegno della moglie Hettie (tedesca) che ricorda come l’archeologo Derpfeld (tedesco) abbia ritenuto di identificare la patria del navigatore nella località di Nydrì, nell’isola di Lèucade, così come altri studiosi hanno sostenuto fosse Cefalonia la vera sede della reggia di Ulisse. Makis Metaxas e sua moglie sono ospiti deliziosi e il Prefetto – lasciando perdere la diatriba che infiamma i greci da secoli – dice che è ora di trasferirsi a nord di Argostoli dove inizia un fenomeno geologico davvero interessante. Lungo il tragitto, una piccola sosta per rendere omaggio al monumento che ricorda l’eccidio della Divisione Acqui (novemila militari italiani trucidati dai tedeschi) nel corso della seconda guerra mondiale. Più giù, a Katavothres, le acque del mare si riversano in grandi fessure prossime alla costa. Sulla punta di Lassi, all’interno di un bar ristorante, c’è il piccolo mulino riedificato dopo che l’originale – costruito dagli inglesi nel XIX secolo – era stato distrutto dal terremoto del 1953. La grande ruota del mulino ‘gira’ sotto il flusso dell’acqua che entra e poi sparisce alla vista. Prima dell’ultima guerra la zona ospitava una modesta centrale elettrica e una fabbrichetta di ghiaccio.
Per anni – spiega Makis – nessuno è stato in grado di stabilire dove questa enorme massa d’acqua, inghiottita dal terreno, andasse a finire. La soluzione arriva nel 1963 con l’aiuto di geologi austriaci. Versando in una delle fessure grandi quantità di sostanze coloranti, ne vengono trovate tracce
abbondanti, quindici giorni dopo, nelle acque salmastre di Karavomylos, nella baia di Sami.
Il lungo cunicolo sotterraneo che attraversa da ovest a est l’isola – circa dodici chilometri in linea d’aria – riceve l’acqua piovana dalle rocce soprastanti, in modo particolare quelle della zona centrale in corrispondenza del monte Gioupari. Quasi alla fine della corsa, vi sono diverse grotte con piccoli laghi; la grotta con il lago più bello è quella di Melissani, prossima al villaggio di Nea Vlachata. Si allarga per 160 metri e per oltre un terzo è occupata dal lago, mentre l’apertura superiore è conseguenza del terremoto del 1953, altrimenti il lago sarebbe rimasto sotterraneo.
Le acque, che cambiano colore secondo le ore della giornata, offrono una gamma infinita di verdi, azzurri, indaco e cobalto. Il punto più profondo raggiunge i 13 metri e la parte terminale della grotta, coperta, è alta 25 metri. Non è quindi un caso che il piccolo lago della grotta di Melissani sia continua meta di visitatori. Esperti barcaioli compiono il giro mostrando le protuberanze della roccia che assomigliano a diversi animali: l’elefante, la capra, il cane, eccetera. Grossi pescioni nuotano lenti nel blu, davvero dipinto di blu. Pesci che al tramonto, con la chiusura della grotta, ritrovano la pace che hanno goduto per secoli, grazie al flusso d’acqua sotterraneo che arriva da Argostoli.