Alloggiare per il Vinitaly fuori dal triangolo lago-città-autostrada comporta vantaggi imprevisti.
Ad esempio consente di scoprire che, oltre l’hinterland veronese, c’è il quasi hinterland. Cioè una campagna che – la sensazione è palpabile – è ancora campagna in tutto, tranne che nell’architettura, ove vecchie case e cascine contadine paiono essere state sostituite del tutto da un’abbastanza deprecabile, sebbene socialmente comprensibile, edilizia da anni ’60-’80.
La differenza estetica tra i due decenni è enorme, il risultato è invece uguale: grossi agglomerati di chiaro impianto rurale trasformati in cloni architettonici urbani.
Effetto non è deprimente, è solo un po’ triste.
Come se quelle comunità, rassegnate ad essere inghiottite dalla città, si fossero avvantaggiate adeguandosi al villettismo a schiera e alla creatività da geometra che impera in certe periferie.
L’erba c’è sempre e la città non c’è ancora, ma si aspetta solo che arrivi. Come uno tsunami lento quanto inesorabile.