Non è più tra un collega e prima di tutto un amico fin dai tempi dell’adolescenza. “We’ve been throu’ some things together / and a trunk of memories still in come“.
Quei pomeriggi a San Gervasio, nel cuore degli anni ’70. Gli anni di piombo, o “completamente marroni“, come li ha definiti Jonathan Coe. Ma anche gli anni della nostra adolescenza, certo non scevri di ingenuità e dolori. Di te mi parlava spesso il mio compagno di banco al ginnasio, tuo compare di parrocchia. Poi ci siamo conosciuti. Ti rammento un po’ alticcio mentre sollevi al cielo un calice di vera plastica colmo di spumantino nel melting pot di San Silvestro 1976, festicciola parrocchiale piena di bravi ragazzi e di ormoni volatili, oltre che di qualche alcoolico. Anche tu eri un bravo ragazzo, ma non ti mancavano l’acume, l’onestà intelletuale e quel briciolo di cinismo indispensabili per fare quel mestiere che, anni dopo, ci siamo trovati a condividere, sebbene impegnati in declinazioni spesso diverse, ma in fondo uguali, della nostra maledetta e a volte canagliesca professione. Ho seguito la tua carriera con compiaciuta soddisfazione, anche se non ci siamo frequentati molto. E del resto non avevamo bisogno di frequentarci per conoscerci. Ho sempre ammirato il tuo rigoroso equilibrio, la tua coerenza di cronista disincantato.
A un certo punto le cose hanno preso una brutta piega, prima sussurrata, poi esplicita, ma sempre racchiusa nella tua composta riservatezza.
L’ultima volta ci siamo visti a cena, ti ricordi?, forse un annetto fa. E per non parlare di ciò che aleggiava, ma che nè tu nè io avevamo voglia di affrontare, abbiamo come al solito conversato dei problemi sempre abbondantissimi del nostro lavoro al tramonto, panacea per ogni imbarazzo. Concludendo però con la reciproca promessa di una rimpatriata con quelli del tempo che fu.
Purtroppo non è successo. E nel frattempo mi sono mancati il coraggio e le scuse per farmi vivo, ogni volta rimandando, ogni volta illudendomi che l’avrei fatto e che ce ne sarebbero state circostanze migliori, più appropriate, sperando che magari fossi tu a entrare in argomento. Così mi sono interessato a distanza, da amici comuni.
Ora questo non è più possibile.
E allora che devo dirti, caro Dodo? Solo che ti rammento giubilante con quel bicchierino in mano o a sgomitare tra i colleghi in conferenza stampa, col taccuino e la penna tra le dita.
Il resto lo tengo per me.
Fai buon viaggio.
S.
