di CARLO MACCHI
Un manuale didattico che mette a disposizione dei nuovi o aspiranti giornalisti enogastronomici le esperienze professionali vissute in quarant’anni di onorato mestiere nel mondo del vino “scritto”.
Vi ricordate quella vecchia canzone di Raf, “Cosa resterà di questi anni Ottanta?” (e Novanta, aggiungo)?
Ecco: mi sto accorgendo sempre più, anche dalle discussioni sui social, che tra quelli della mia generazioni che hanno provato a fare qualcosa entrando nel mondo del vino una quarantina di anni fa e le generazioni che vi si sono approcciate da una quindicina, c’è quasi un muro. Dovuto non solo all’età, ma anche alla mancanza di condivisione (spesso sfociante in gelosia) per chi ha vissuto in quei tempi quasi preistorici del vino e, forse, per quanto allora si è imparato.
Quale migliore occasione che parlarne dalle colonne del Garantito IGP dove, come è noto, IGP sta per I Giovani Promettenti, tutti colleghi con un’età media che sfiora quella di Matusalemme? Lungi da me la voglia di fare un pippone basato su “miei tempi”, sia chiaro. Anche perchè non sono sicuro di riuscire nell’intento e quindi mi scuso preventivamente per l’eventuale fallimento dei miei buoni propositi.
La recente morte di Ampelio Bucci è solo l’ultimo dei vulnus apertisi nel mondo del vino italiano, un altro mattone venuto a mancare.
Quel mondo la cui costruzione cominciò in maniera più ampia e articolata (col mio indegno contributo) nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Prima c’era solo Gino Veronelli, che predicava praticamente nel deserto, ed è stato proprio in quegli anni, (“Tra Reagan e Gorbaciov”, tanto per restare nel tema dell’articolo) che in Italia sono nate tante cose. Compresa quella che oggi viene chiamata critica enogastronomica.
I miei primi (e pure secondi) anni nel mondo del vino e del cibo sono stati vissuti all’interno di un’associazione che allora si chiamava Arcigola e oggi Slow Food. Far parte di un’associazione allora così goduriosamente rivoluzionaria mi è servito tantissimo ed è difficile spiegare come, se non ricorrendo a concetti quali divertimento, sorpresa, gioia, impegno, conoscenza, soddisfazione, rispetto, amicizia, stupore. Sembrano concetti slegati ma nel momento in cui si uniscono, e questo in Arcigola accadeva spesso, fanno scaturire insegnamenti per il presente e per il futuro.
Vi racconto questa: durante i bellissimi anni in Arcigola sono riuscito ad incontrare personaggi incredibili ed uno è stato il grande scrittore spagnolo Manuel Vasquez Montalban, con cui noi arcigolosi di Toscana avevamo creato un legame particolare. Una volta ci disse “Ma voi come avete fatto a ritrovarvi, sembra vi siate cercati ad uno ad uno” e questo, detto da persone che si erano incrociate solo perché vedevano nel cibo e nel vino qualcosa per poter dare una mano agli altri, per me fu il più grande complimento che potessero farci, perché voleva dire che avevamo creato un gruppo dove ognuno era un elemento insostituibile.
Ecco, quando vi sentirete così vorrà dire che siete nel posto giusto. Non so dirvi quanto durerà ma quel momento, breve o lungo che sarà, godetevelo e contribuite a farlo godere agli altri perché sarà sicuramente uno dei più belli della vostra e delle altre vite che vi sono vicine. Scusate questa divagazione, enogastronomica solo in parte, ma se si parla di dare consigli, questo viene proprio dal cuore.
Ma andiamo avanti con concetti e consigli, che spero abbiano i piedi ben piantati in terra.
Non è certo un incoraggiamento, ma la vecchia battuta su come farsi un piccolo capitale nel mondo del vino (partendo da un grande capitale…) si adatta perfettamente anche a chi questo mondo l’ha vissuto e/o lo vive dalla parte dell’informazione. In altre parole, di critica enoica non si campa o si campa male, a meno che non si faccia finta di non capire la differenza tra dare una notizia e fare una marchetta. Per questo trovatevi un lavoro che vi permetta di avere libertà di espressione parlando di vino, oppure abituatevi a guadagni che vanno dal platonico al quasi risibile.
Negli anni ’80 e ’90, anche se c’erano giornali ben fatti sull’enogastronomia, si parlava di vino tramite le guide, anzi nei primi tempi “la” guida. Eravamo nel periodo che prendere Tre Bicchieri sulla guida del Gambero Rosso e di Slow Food/Arcigola voleva dire vendere tutto il vino nell’arco di un mese e per questo qualsiasi voce taceva di fronte al risultato (o non risultato) numerico. Poi le guide sono diventate sempre di più e mentre aumentava il loro numero diminuiva la loro incisività sul mercato.
Di quegli anni porto con me un insegnamento valido forse più oggi che in passato e cioè quello di non seguire le mode enoiche (o almeno provarci). Ci sono stati anni che se non usavi la barrique non eri nessuno e se il vino non sapeva di legno non era un grande prodotto: era un errore naturalmente e oggi siamo quasi all’opposto e anche questo non è detto sia un bene. Poi c’è stato il periodo in cui se non avevi Chardonnay, Merlot e Cabernet sauvignon non venivi considerato e oggi siamo all’opposto nuovamente. Poi nei primi anni Duemila è partita la rivalutazione a tutti i costi dei vitigni autoctoni, oggi ridimensionata e equilibrata. Insomma il mondo del vino non va avanti in maniera lineare ma, dovendo creare notizia e interesse, “salta” da una moda all’altra e non è per niente facile mantenere un giusto equilibrio, ragionando con la propria testa.
A proposito: diciamo anche due parole sui punteggi dei vini, pur nella consapevolezza, ne sono convinto, che sarà uno dei consigli meno seguiti. Negli anni ‘80 e nei primi anni ’90 i punteggi erano molto più bassi non perché i vini fossero peggiori, ma sia perché non si vedeva la scala numerica come unica traduttrice del termine qualità, sia perché non dovevi “far notizia” dando un punteggio più alto del tuo concorrente. Lo so che oggi, in un mondo dove siamo arrivati anche ai 110/100 parlare di punteggi “normali” è anacronistico e che la qualità media dei vini, è salita ma non si possono schiacciare tutti i vini tra 93 e 100 e considerare 90/100 come un voto basso.
Fino ad ora siamo rimasti su ricordi e consigli, adesso però provo a spingermi oltre: come si fa a parlare di vino? Secondo me per scrivere e parlare di vino servono fondamentalmente due cose:
Primo: saper scrivere (e averlo fatto) di cose diverse dal vino
Secondo: conoscere il vino e il suo mondo.
Il perché del punto 1 lo spiego subito: sbagliando s’impara e quindi magari è meglio fare errori e perfezionarsi in altri campi per poi dare il meglio nel nostro. Ovviamente non serve essere Verga o Tolstoj (altrimenti non sarei qui), ma avere una discreta conoscenza della grammatica italiana e della sintassi. La stragrande maggioranza di chi ha iniziato a fare il giornalista enoico negli anni Ottanta aveva (e ha tuttora, per fortuna) una laurea e questo, specie se vuoi comunicare qualcosa a qualcuno in forma scritta, aiuta. Questo sia che tu sia italiano o inglese, francese, tedesco o di dove ti pare. Giustamente un grande produttore di vino mi ha fatto notare che in quel passato i pochi giornalisti del mondo del vino avevano a che fare con un mondo “vergine” e potevano (anche perché erano di solito molto bravi a scrivere) trovare parole adatte e magari indimenticabili per presentare un vino, un personaggio, un’azienda, una famiglia. Oggi si ripetono concetti già usati e strausati da altri e quando si cercano strade nuove il rischio è quello di usare frasi astruse, che più che avvicinare allontanano il consumatore dal vino.
Inoltre vorrei mettervi in guardia da un altro errore in cui si può cadere: scrivere di vino non è incidere in marmo lettere sempiterne per il genere umano e che serviranno a salvare il pianeta, per questo cercate di prendervi il meno possibile sul serio e, se ci riuscite, siate ironici e ancor meglio, autoironici.
Conoscere il vino e il mondo del vino è l’altra faccia della medaglia: per fare questo, oltre ad aver frequentato qualche corso di degustazione per avere i rudimenti di base occorrono due cose: enorme curiosità e un’auto. La prima cosa serve per darvi la voglia di partire, la seconda per farlo realmente, perché non si diventa esperti di vino facendosi portare i vini a casa o partecipando a degustazioni, ma facendosi il culo piatto sulla macchina girando per cantine, conoscendo produttori, territori, vigneti e riuscendo a mettere assieme tutto questo. Dato che gli esami non finiscono mai, non esiste il momento in cui uno può smettere di girare, perché ricordatevi sempre che mentre assaggi un vino ne nascono altri mille, specie all’estero. Il bello del mondo del vino è che è tanto infinitamente grande da sembrare infinitamente piccolo, ed essere grandi esperti di un certo territorio vuol dire solo che non sei esperto del 99.9% del resto del mondo enoico. Anche se può sembrare inutile dirlo, visitando territori e cantine occorre guardare, annusare, testare non solo il vino: si deve annusare il vino nel bicchiere e l’aria che tira in vigna, in cantina in casa del produttore, gustare la disponibilità, la sincerità, la conoscenza di chi vi sta di fronte perché fare informazione e giornalismo non è altro che cercare di capire le cose e raccontarle al meglio delle proprie possibilità.
Per adesso mi fermo perché comincio ad essere noioso anche a me stesso, figuriamoci a voi.
Insomma, dopo quest’articolessa, mi chiedo: cosa si può usare oggi del patrimonio di esperienza e insegnamenti accumulati allora? Sicuramente la voglia e la curiosità con cui giravamo per cantine e provavamo a capire quello che stava nascendo e poi è nato. Purtroppo oggi si ha meno fortuna di noi, che siamo riusciti ad assaggiare tante cose che oggi si possono permettere solo Elon Musk e compagnia, perché 30 anni fa i prezzi dei grandi vini erano infinitamente più abbordabili di adesso. Il rovescio della medaglia è che si trovavano con maggiore difficoltà.
Per questo mi è venuta voglia, dopo 40 anni di servizio (onorato o meno, non sta a me dirlo) in questo campo allora appena seminato, di snocciolare qualche ricordo per provare a dare qualche suggerimento a chi oggi è giovane e ha almeno altri 40 anni davanti per poter dire la sua.
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