Nella giornata degli scioperi la stampa non fa eccezione, rivendicando il rinnovo del contratto del 2016. Peccato però che l’FNSI pretenda di parlare anche a nome di chi (85mila su 105mila) il contratto non l’ha mai avuto, sebbene spettasse proprio a quel sindacato procuragliene uno.
Come dicevo ieri (qui), oggi scioperano tutti, giornalisti compresi. Questi ultimi, tutti almeno formalmente.
Nel senso che, nonostante la consueta chiamata generale alle armi in sindacalese stretto (qui) diffusa dall’FNSI (uno dei sindacati di categoria), l’astensione riguarderà direttamente solo una modesta porzione dei colleghi, ossia i titolari di un contratto di lavoro, a occhio e croce circa 20.000 degli oltre 105.000 giornalisti italiani.
La cosa non farebbe una piega, visto che lo sciopero è indetto “per sollecitare il rinnovo del contratto di lavoro scaduto nel 2016“, se a scendere in piazza fossero appunto invitati i soli “contrattualizzati“. Peccato che invece, con la consueta retorica un po’ pelosa e il ricorrente sprezzo del ridicolo, la Federazione proclami che “…scioperiamo per tutta la categoria, tenendo insieme i dipendenti, i collaboratori lavoratori autonomi e precari“.
Collaboratori, lavoratori autonomi? Cioè quelli che il contratto non ce l’hanno? Quelli che nonostante decenni di proteste non l’hanno mai avuto e che l’FNSI, all’epoca sedicente sindacato unico e unitario, non è mai stato capace di far estendere alle loro figure, con buona pace di millanta congressi spesi a fingere di interessarsi alla questione freelance (vado a memoria: si risale a quello di Saint-Vincent del 2004, o forse anche prima)? Nel 2025, per evocare certi temi così delicati e certe neglette categorie, ci vorrebbero forse un po’ di pudore e un po’ di consapevolezza in più. Quelli che da sempre, con ogni evidenza, sull’argomento mancano nelle stanze romane di Corso Vittorio.
Il tazebao federale assume poi il sapore della beffa quando si pensa che – di chi, non avendo un contratto non ha nemmeno uno stipendio (“…uno sciopero in difesa dei diritti e degli stipendi”, dicono) – l’FNSI non ha quasi alcuna rappresentanza, considerato che, proprio perchè sanno che la Federazione non rappresenta nè difende i loro interessi, meno del 10% di essi è iscritto a quel sindacato. E poi ci si domanda del perchè della disaffezione dei giornalisti verso Ordine, sindacati, etc.
Più sobria e centrata la posizione (qui) dell’altro sindacato giornalistico, la FIGEC, secondo il quale lo sciopero di oggi è una “rivendicazione collettiva dei diritti dei giornalisti impiegati nelle aziende che applicano il contratto Fieg“. Che però, sottoneano, “non è il perimetro di un solo sindacato” e il cui rinnovo “non può prescindere dall’adeguamento alla normativa nazionale che regola la rappresentanza sindacale: non esistono bandiere quando si tratta di tutelare i diritti dei lavoratori, quindi per senso di responsabilità verso la categoria e non certo in adesione alle logiche di appartenenza che continuano ad animare l’ex sindacato unico dei giornalisti, non possiamo che confermare lo spirito che ha spalancato le porte al pluralismo sindacale” a difesa dei giornalisti, “senza riserve e pregiudiziali di sorta“.
Sarebbe bello però che una buona volta questo sano e acquisito principio di pluralismo riguardasse non solo le diverse sigle, ma anche e soprattutto le diverse categorie di giornalisti da rappresentare sindacalmente.
A riprova di tutto quanto sopra, infatti, io oggi lavoro. Come tutti i santi giorni.
