Di visitare un aeroporto è capitato a chiunque si occupi di viaggi. Più raro andare dietro le quinte di una compagnia o nella sala dei bottoni dello scalo. A me è successo a Zurigo, con la Swiss. E ho scoperto che…
Forse era nata una nuova tipologia di turismo ed io non me n’ero mai accorto: l’airportouring. Cioè l’aeroporto non come luogo di transito e di attesa, ma come destinazione. E dopo averlo provato devo dire che, la cosa, un senso ce l’ha. Parlo dello scalo di Zurigo (qui), hub della Swiss.
La sorpresa più leggera e divertente è stata forse il muggito della mucca che, mentre sei sul silenziosissimo trenino interno a cuscinetto d’aria, t’arriva dal nulla e fa da colonna sonora alle foto di Heidi di là dal vetro, dipinte sul muro per un effetto-cinematografo. Nemmeno fossi sulla cremagliera del Bernina.
Quella meno frequente e più interessante è stata senza dubbio la visita al centro operativo dello scalo, dove ti mostrano come sono organizzati non solo l’arrivo e la partenza degli aerei, ma come viene coordinato tutto l’insieme dei servizi aeroportuali: dalla movimentazione degli equipaggi alle squadre delle pulizie, dai controlli di sicurezza al trasporto dei passeggeri in transito, con tanto di calcolo in tempo reale del minutaggio minimo necessario per recuperare i bagagli e non fargli perdere le coincidenze. Una macchina di cui chi sta in aereo o in attesa di imbarco fa oggettivamente fatica, credo, a percepire la delicatezza e la complessità. Il tutto racchiuso in un grande open space fitto di persone, dove ogni cosa è a vista.
Ma devo aggiungere che, almeno per un addetto ai lavori, anche mettere il naso nel backoffice di una compagnia aerea e capire, ad esempio, in che modo il personale di bordo viene istruito e portato a familiarizzare con le centinaia di oggetti, tutti “su misura” – dai bicchieri dell’economy alle minisuite della prima classe, costosi come un appartamento (non è uno scherzo) – che si trovano su un aereo, ha il suo fascino. Professionale e non.
Sapevo ad esempio che in quota il senso del gusto si altera e che i cibi serviti in volo devono essere “tarati” su questo mutamento, al punto che, se li assaggi a terra, puoi percepirli troppo insipidi o troppo salati. Ma non sapevo, nè immaginavo, che i principali problemi del “flight catering” fossero altri. Decisamente sorprendenti per chi non è abituato a ragionarci sopra. Primo: la quantità delle portate, che dev’essere rigorosamente uguale per tutti, onde evitare “gelosie” tra commensali volanti (magari costretti dalla vicinanza forzata a guardare troppo spesso nel piatto altrui). Secondo: le loro dimensioni fisiche, altezza compresa, devono essere calibrate al millimetro. Perchè le pietanze devono rientrare perfettamente nelle piccolissime stoviglie, che devono stare nei piccoli vassoi, destinati a loro volta a entrare precisi precisi nelle anguste rastrelliere (e si parla di centinaia di pasti alla volta, spesso per più volte, in una sola tratta) altrimenti sono guai. Terzo e più inatteso di tutti: il peso. A pensarci non fa una piega. “Meno pesano le pietanze, meno pesa l’aereo. Meno pesa l’aereo, meno carburante si consuma“, ha sentenziato serissimo lo steward della Swiss (qui), la compagnia di bandiera svizzera, controllata da Lufthansa, che collega oltre 70 destinazioni in 39 paesi da Firenze, Milano, Roma, Venezia e Bari. E che giorni fa ha portato il sottoscritto e altri colleghi dal capoluogo toscano a Zurigo a “toccare con mano”, come si dice, le qualità del proprio hub.
Operazione, devo ammettere, riuscita.
Innanzitutto perchè, strano a dirsi se si pensa alle dimensioni e al traffico, ci sono ore del giorno in cui l’enorme complesso è praticamente vuoto, quasi spettrale. Quindi visitabile in tutta calma. E poi perchè passeggiando e ficcando il naso pressochè ovunque si sono scoperti, ad esempio, gli aspetti non strettamente connessi alla funzione aeroportuale.
Lo scalo, 7 minuti di treno dalla città, con le rotaie che gli arrivano direttamente sotto, ha intorno quasi 50 ettari di parco, con tanto di castori e altra varia fauna selvatica. Gli zurighesi lo frequentano abitualmente pure come un comune centro commerciale, il che mitiga molto l’asetticità un po’ anonima del cosmopolitismo aviatorio tipico di questo tipo di strutture (non essendo domenica non ho potuto verificare la presenza di pensionati sulle panchine, ma fa lo stesso). Tutta l’acqua piovana viene raccolta e convogliata per il riuso (wc compresi). Nel lounge della business c’è il “lounge bar” più lungo del mondo, come dice un cartello molto svizzeramente affisso all’ingresso (non ho preso le misure ma in effetti il bancone non finisce più). L’aeroporto, inoltre, chiude la notte alle 23 e riapre alle 4.30. Potrà sembrare una stranezza, vista la sua importanza logistica, eppure una ragione c’è. Anche questa è tutta svizzera: le autorità vogliono evitare al massimo i rumori molesti, quindi a notte fonda niente voli. Mentre per gli altri voli notturni sono previsti “corridoi” di arrivo e partenza degli aerei che girano al largo dalle aree sonoramente sensibili. Anche questa è qualità della vita, se ci si riflette un po’.
Infine, spesso gli ex dipendenti in pensione vengono richiamati in servizio da Swiss per fare da “guida” a chi visita il flughafen.
Ecco spiegato perchè le panchine dell’area commerciale erano vuote…