Forse la guerra no, ma la battaglia è cominciata.
Quale? Quella di tutti contro tutti: cittadini contro campagnoli, tra chi sta in casa e chi deve uscire, tra chi si ammala e chi no, tra chi sta a nord e chi a sud, tra chi scappa e chi resta, tra chi arriva e chi lo respinge, tra chi fa la spesa troppo spesso e chi no (c’è una regola o una logica uniche? Quali?), tra chi rispetta le norme e chi no e come, perché ognuno le interpreta secondo il suo punto di vista, tra chi accusa e chi si difende. Una battaglia verbale, dialettica, incruenta ma asperrima, con scambi reciproci di atrocità e nequizie.
È il prezzo della psicosi dilagante e della disinformatja.
Nel mezzo, tra i due fuochi, rimangono quelli della terra di nessuno, chi rischia davvero perché ha patologie pericolose, chi sta al pubblico: medici, paramedici, volontari, forze dell’ordine, chi per forza deve andare a lavorare e si ritrova preso a sputi da chi deve stare a casa. Più defilato, anche chi esce per vizio o necessità (del resto, quelle degli altri non sono mai tali): fumatori, sportivi, ansiosi, irrequieti, chi è in pena per parenti anziani, soli, lontani, chi ha problemi personali.
Su tutto ciò incombe poi una cappa di velenoso mistero sul perché, o per colpa di chi, una tale virulenza si abbatte proprio da noi. Anzi più in certe regioni che in altre. Le speculazioni politiche fioccano. O presto in Spagna, Francia, Germania sarà peggio e magari era già peggio prima e loro non l’hanno detto? Quasi reticenze, interessi inconfessabili, guerre batteriologiche, imperialismi finanziari sono alla scaturigine di tutto questo? La gente si fa domande e sopra di esse costruisce scenografie.
Poi c’è lo stucchevole perbenismo degli atteggiamenti individuali, quelli dei massimalisti, sempre pronti a borghesissimi richiami al salvifico e rispetto delle norme in quanto tali, anche quando inutili, assurde, controproducenti, palesemente sceme o sbagliate. Immuni a qualsiasi evidenza, si lavano la coscienza additando altri come responsabili di colpe che non hanno. Ma, si sa, il popolo ha bisogno di formali colpevoli, la verità è un optional.
C’è l’annaspare di una politica lacerata tra emergenza e propaganda, provvedimenti a effetto e strategie a medio termine, clientele da servire, elettori da blandire.
In certe zone la paura è palpabile e ben giustificata. In altre è isterica e illogica.
Raccontare questa complessità è difficilissimo, perché spesso la gente non vuole sentirla, bensì leggere ciò che desidera.
Così la guerra diventa bifronte: reale e immaginaria. A separarle, il sottile, elastico, mutevole, plastico diaframma della verità. Che non può mai essere manichea come il volgo vorrebbe, ma solo se stessa, cioé cruda e proteiforme.
Anche in ciò, politica e governo si arrabattano. Colti di sorpresa, fanno ciò che possono nella loro intrinseca insipienza. Cadono sotto il fuoco amico, si sparano addosso tra loro, vanno per tentativi in un contesto troppo grande rispetto ai mezzi.
Questa è dunque una più ampia guerra che si profila tra i fumi acri delle tante battaglie.
Dove però il fronte è invisibile e carsicamente appare e scompare, affiora e riaffonda.
Cosa individualmente si possa fare, tranne in modo un po’ codardo ritrarsi tra le mura domestiche, sperando di scampare al contagio e in attesa che ‘a nuttata passi, non si sa.
Chi, appena un mese fa, avrebbe immaginato di trovarsi davanti a una muraglia di 3500 morti e di tanti altri che inevitabilmente dovranno arrivare?
È un timore per l’immediato che fa da schermo, forse opportuno, a quello ulteriore, cioé a un domani pieno non solo di bare, ma di decessi economici, sociali, strutturali che potrebbero rivelarsi irreversibili e, pertanto, epocali.
È una guerra che ci troviamo a combattere da civili quali siamo, non da militari. Coi mezzi nostri.
Non sarà facile, meglio essere pronti a tutto.