Come tutti i grandi cataclismi, attentati, eventi catastrofici, anche il terremoto suscita comprensibili ondate di emotività popolare, amplificate oggi all’infinito dal sistema “social” in cui volenti o nolenti siamo immersi.
Meno normale è il fatto, giustamente già stigmatizzato da molti, che il cronista tv vada dal terremotato che ha perso parenti e casa a chiedergli come si sente.
“Solidarietà”, in questi frangenti, è poi il termine di cui più si abusa dialetticamente.
Quest’abuso però mi pare manifestarsi non solo a parole, ma pure nei modi.
Voglio dire: l’umana partecipazione alle tragedie altrui è cosa buona e giusta, che dovrebbe albergare nel cuore di ognuno. Ma silenziosamente, riservatamente. La solidarietà, verbale e materiale, non avrebbe alcun bisogno di essere ostentata. Andrebbe solo praticata.
E invece da un lato è tutto un pubblico piagnisteo sotto l’ombrellone, di ansie per i senza tetto tenendo ben salda in mano la forchetta con gli spaghetti, di pietà lacrimose dai tapis roulant della palestra ad uso selfie e fb.
Dall’altro è tutto un moltiplicarsi di iniziative lodevolmente solidali che però, oltre ad avere talvolta una sospetta aura di autopromozione (vedi il caso della procace starlette che ieri ha pubblicamente raccomandato, postando una sua foto dimostrativa in bikini, di ripararsi sotto l’architrave della porta in caso di scosse telluriche), trasformano in enormi, quanto inutili, quanto costose macchine organizzative quello che, alla fine, è il banale versamento dell’obolo di 1 euro in beneficenza.
Allora dico: per mandare ai terremotati quest’obolo non si fa prima a mettere in una cassetta la classica monetina, o a fare un sobrio versamento alla posta pro Croce Rossa o a mandare il solito sms, anzichè allestire laboriosi spettacoli teatrali, cene vip dove si chiede ai vip di versare 1000 improbabili euro, mettere su partite del cuore in grandi stadi, etc? Tutta roba che, al netto delle spese e dell’immane lavoro di coordinamento che richiede, alla fine produce comunque gli stessi pochi (o anche tanti) spiccioli che sarebbe facile raccogliere in contanti e senza clamore?
Ecco il senso del titolo di questo post: forse, in simili circostanze, un’autocensura della solidarietà sarebbe utile e opportuna.
Astenersi esibizionisti.
