Il 31 dicembre del 1995, verso quest’ora, ero a Montreal. “On assignment”, come si direbbe oggi, per un importante giornale di viaggi. L’inverno in Quebec, i boxing days in città.
Dopo un pomeriggio da Le Baron ad acquistare gli stivali foderati di pelliccia testati fino a -25°, ci fermammo per cena a The Beaver. Pieno di gente. Anche troppa. Fuori nevicava. Per il brindisi ci aveva invitato a un party una giovane stilista intervistata al mattino – accidenti, come si chiamava? – che trasformava in accessori gli scarti tecnologici, dai circuiti stampati ai copertoni.
Freddo boia. Usciamo tardi. Città deserta. Ci perdiamo con la macchina dalle parti di St. Denis.
Parcheggiamo. Una piazza vuota, illuminata dai lampioni e bombardata dai fiocchi. È mezzanotte. Le suole scricchiolano sul bianco selciato ghiacciato. Dai bagliori alle finestre si intuiscono feste e bevute. Intorno, nessuno.
Auguri. Auguri a te.
Breve sosta estatica su una panchina. Vago senso di estraniamento. Andiamo o no? Andiamo, ma nessuno voleva muoversi.
Ci convinse, dopo un po’, la temperatura.
La festa fu carina, i padroni di casa molto ospitali, baci e abbracci di tutti con due strani italiani che facevano foto e domande.
Quando uscimmo, nevicava ancora. Ma non sentimmo il freddo.
Sono passati venticinque anni, mi sembra un secolo.
Buon anno!
