di ANDREA PETRINI
Feudo del Balio: 26 ettari di vigna ai due poli opposti della Sicilia per un progetto “artigianale ma ambizioso” guidato in cantina da Stefano Chioccioli.
Feudo del Balio è il progetto nato dalla storia la storia di tre uomini — Giuseppe Rando, Giuseppe Perniciaro e Mario Papotto — che hanno scelto di ricostruire qualcosa di autentico nella loro terra, la Sicilia. Senza compromessi e partendo dalla consapevolezza che la qualità non si improvvisa.
L’avventura comincia a Trapani, dove le colline dolci e ventilate si affacciano sul mare e la luce sembra più viva che altrove. Qui prende forma il “progetto artigianale ma ambizioso”, come amano definirlo i fondatori: una cantina urbana che dialoga con la città e con il territorio, capace di raccontare la Sicilia contemporanea con vini puliti, eleganti e di forte identità.
Al centro dell’azienda sorge una torre di avvistamento del XVI secolo, un tempo presidio di difesa costiera e oggi simbolo di rinascita. Restaurata e pronta a diventare, entro il 2026, il punto d’accoglienza e degustazione del Feudo, la torre racchiude l’idea della tutela del bello, del rispetto dell’ambiente e della valorizzazione paesaggistica. Rappresenta la filosofia aziendale: custodire la memoria del territorio per trasformarla in futuro.
«La nostra è una piccola produzione, in un territorio particolarmente vocato alla viticoltura da secoli, quello della Sicilia occidentale, in provincia di Trapani» raccontano i tre. «Qui non c’è nulla da stravolgere: basta rispettare ciò che la natura offre. Il compito del viticoltore è proteggere la vigna e preservarla, anche a costo di perdere quantità. Le nostre bottiglie, numerate, sono frutto di impegno, dedizione e rispetto. Lavoriamo in regime biologico e favoriamo la biodiversità tra le viti, perché il vino deve essere il risultato di un equilibrio naturale».
Quindi poche etichette, rese basse, attenzione alla materia prima e una gestione in vigna e in cantina che mette al centro la sostenibilità e la verità del territorio.
Oggi Feudo del Balio si estende su 26 ettari, di cui 22 tra Paceco e Fulgatore, nel Trapanese, e 4 sull’Etna, tra contrada Fornazzo e Caselle. Due terroir lontani ma complementari, due espressioni dell’isola che si guardano da opposti versanti.
Nella Sicilia occidentale, i suoli sabbiosi e calcarei e la costante brezza marina regalano vini dalla spiccata salinità e luminosità aromatica. Qui crescono Catarratto, Grillo, Zibibbo, Nero d’Avola e Frappato, insieme a una preziosa vigna trentennale di Syrah in contrada Sorìa, testimonianza viva di un legame profondo con la tradizione trapanese.
Sull’Etna, invece, tutto cambia. A Milo, in contrada Fornazzo e Caselle, i vigneti si arrampicano tra i 700 e gli 800 metri di quota, su terreni vulcanici ricchi di sabbie nere e minerali. Qui regnano Carricante e Nerello Mascalese, vitigni che danno vita a vini tesi, minerali, di grande profondità, capaci di raccontare il lato più verticale e vibrante della Sicilia.
A guidare la parte enologica di Feudo del Balio è Stefano Chioccioli, professionista di grande esperienza e sensibilità, che accompagna l’azienda nel suo percorso di crescita con una visione limpida e coerente. La sua mano si percepisce nella precisione e nella chiarezza dei vini: etichette che non cercano effetti speciali, ma raccontano con sincerità il territorio da cui nascono.
Due, a mio giudizio, i vini più rappresentativi:
L’Etna Bianco “Pietrarsa” 2024 è il volto elegante del vulcano: un Carricante in purezza che profuma di agrumi e fiori bianchi, con una vena minerale che ricorda la pietra bagnata e la cenere leggera dopo la pioggia. Al palato è teso, vibrante, scandito da una freschezza che non cede mai alla morbidezza. È un vino che parla sottovoce, ma lascia un’eco lunga e salina, come una brezza che risale dai crateri.
Il Nero d’Avola “Torremurata” 2022, invece, racconta la parte più mediterranea e solare della Sicilia occidentale. Rubino profondo, al naso intreccia ciliegia matura, prugna e note di macchia mediterranea, mentre al gusto rivela una trama setosa, ampia, sostenuta da tannini fini e da una scia sapida che rimanda al mare vicino. È un vino che abbraccia e accarezza, capace di coniugare struttura e delicatezza, calore e misura grazie anche ad un sapiente affinamento in anfora.
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