Appenninia, il wine festival del Mugello dedicato al vino d'”altura” dell’Italia centrale, è la punta dell’iceberg di un processo di gentrificazione enoica con molte luci e qualche ombra. Qui un po’ di considerazioni e di assaggi finali oggettivamente piacevoli.
Mi sono preso il tempo per riflettere ed anche riassaggiare un po’ di cose prima di parlare di Appenninia, il frizzante wine festival dedicato ai vini dell’Appennino e di montagna dell’Italia centrale (l’Appennino Reggiano, i Colli Bolognesi, Modigliana, Predappio, Brisighella fino alle Marche, passando per le Alpi Apuane, la Garfagnana, la Versilia, il Mugello), la cui terza edizione si è tenuta nel maggio scorso a Scarperia e San Piero (FI). Il motivo della mia cautela è semplice: si tratta di un argomento di cui a volte si parla troppo e un po’ a vanvera e ciò porta a prendere abbagli. Non solo sul fenomeno in sè, ma sulla qualità dei vini.
Sono alcuni anni che, sotto la spinta dei mutamenti climatici (e probabilmente anche con la prospettiva più o meno confessa di ampliare i mercati e gli investimenti fondiari connessi), si parla con interesse crescente dell’innalzamento della quota dei vigneti e della necessità, o dell’opportunità, di fare vino in altura, in luoghi dove fino a qualche decennio addietro, e pressochè da sempre, la viticoltura come la intendiamo noi era ritenuta impraticabile, o di pura sussistenza contadina. Sull’onda di questo trend si sono affacciate alla ribalta un po’ ovunque zone, come appunto l’Appennino o il Monte Amiata, dove sono sorte decine di nuove aziende, non tutte piccole o piccolissime come si vuol far credere, e si è innescato un giro di capitali capace di sollevare l’interesse della politica e dei media, con la visibilità – nel bene e ne male – che ne consegue. Stiamo parlando di quello che, prendendo a prestito una nozione sociologia, si potrebbe chiamare un processo di gentrificazione enoica di quella già derelitta fascia d’alta collina e bassa montagna collocata tra i 600 e i 1.000 metri d’altitudine.
Che il fenomeno sia già maturo e stia assumendo una sua certa architettura organizzativa lo dimostra sia il fatto che stanno nascendo le prime associazioni tra produttori, come la Pro.Vi.Mu. (che riunisce i vignaioli mugellani: ne abbiamo parlato qui), sia il fatto che si moltiplicano i convegni tecnico-scientifici dedicati ai suoi riflessi socio-economico-ambientali (ne parlai qui e qui, intervenendo a un convegno organizzato a Cutigliano dall’Accademia dei Georgofili, al quale rimando per un po’ di dati e notizie).
L’interrogativo di fondo è articolato: la domanda di vino da un lato, alle prese con le note difficoltà congiunturali (e non) del settore, e il sistema produttivo dall’altro, saranno in grano di reggere l’urto delle oscillazioni e delle tensioni finanziarie, che per forza di cose tendono ad avere sui mercati più acerbi un effetto più dirompente? E, al di là delle mode mediatiche e dei fuochi di paglia, quest’offerta frammentata, spesso “eroica” ma per le stesse ragioni talvolta malferma, sarà ed è in grado di dare continuità qualitativa al prodotto, preservandone al contempo le indispensabili caratteristiche di personalità e identità che la domanda chiede?
Ecco perchè mi sono preso la briga di andare ad Appenninia 2025 ad assaggiare una cinquantina di vini (e alcuni di riassaggiarli poi). L’atmosfera era un po’ caotica, ma stimolante e a volte perfino euforica. E tra le bottiglie c’era un po’ di tutto, comprese molte cose buone che fanno ben sperare. Ad esempio, queste:
Terre Alte di Pietramala, Pinot Grigio 2023
Il sanguigno Simone Menchetti, che di Appenninia è una sorta di conducator, a 880 metri di quota fa appena 400 bottiglie di questo vino, che è quasi un ramato: naso intenso e screziato, verticale, pungente, acido, di grande e ruvido fascino.
Terre Alte di Pietramala, Malapietra Pinot Nero 2023
E’ il vino-emblema di Menichetti, di colore superscarico, gentile ma acuto al naso della sua varietalità, pressochè etereo al palato per una beva strana, onirica, godibile.
Il Pliò, Titanis Metodo Classico
Non sboccato, fatto col 30% di Pignoletto e il 70% di Trebbiano da vigne vecchie sull’Appennino bolognese ha una verve, una profondità, una sapidità onestamente sorprendenti. Appena mille bottiglie.
Il Pliò, Lituus 2022
Pignoletto 100% da vigne di oltre 65 anni, un vino appena orange dal naso esilissimo ma dalla bocca ricca, bella, verticale.
Il Calevro, Vermentino bianco 2023 Candia dei Colli Apuani doc
Dai vigneti eroici del Massese, tremila bottiglie appena di questo vino di bel corpo, salato, potente, verticale 2 “maschio”.
Il Calevro, Vermentino nero 2023 Candia dei Colli Apuani doc
Un altro bel vino fatto solo in cemento, fragrante, fruttatissimo, intenso estivo e da bere senza remore.
Les Galèt, Canyon d’Ammone 2023
Curiosità assoluta e rarissima da Marradi, “tirata” in 156 bottiglie, Ciliegiolo 100%, tappo a corona, vino fuori passo, artigianalità pura e, nel genere, godibile!
Malvante, Malvasia Nera 2020
Da vecchie vigne degli anni ’50 un vino torbido, fresco, fragrante e intenso al naso, bocca un po’ rasposa, diciamo impegnativa, ma divertente.
Fattoria di Cortevecchia, Rossano 2022
Pinot Nero 100% da Scarperia e San Piero, un bellissimo naso gentile e screziato, una bocca soave e in sostanza una gran bella bevuta.
Fattoria Il Lago, Alba di Zoe Rosè Toscana Igt 2023
Dall’alta Dicomano (FI), a sorpresa un rosato di Ciliegiolo 100%, naso leggermente fruttato e pungente, in bocca è di agile consistenza.
Gigli Metodo Classico
Nel suo genere è appunto un “classico” questi spumante fatto a Borgo a Mozzano (LU) con un 100% di Barsaglina: tappo a corona, senza sboccatura, praticamente un orange con le bollicine, strano e curioso.
Vini Apuani, Ceccardo Candia Colli Apuani 2018
Dalle colline del Candia, fra le cave di marmo ed il mare e vigneti terrazzati, il vino è fatto solo in acciaio e ha il nome del patrono di Carrara: Vermentino nero 100%, naso intrigante e complesso, bocca elegante e quasi solenne.
Villa Magra, Syrah Toscana Igt 2022
Da Bibbiena, in Casentino, questi collezionisti di vecchie Panda (!) tirano fuori 3.000 bottiglie di questo Syrah svinato in barriques e clayver di ceramica: olfatto varietale, agile ma non banale, bocca diretta e piena.
Terra dei Lontani, Quota 1100 2024
Viene dall’Abetone (e da quota 1.100, appunto) ma pare venostano: un bianco di Chasselas 25%, Muller Thurgau 30%, Riesling 30% e 15% di Manzoni bianco sapidissimo, che al naso e in bocca sa di albicocca e di frutta pelosa.
Il Lorese, Vino cotto 1970
Tipico del Piceno, si fa con Trebbiano, Sangiovese e Montepulciano: questo, vista l’età, si ha difficoltà a chiamarlo vino. Burrosità pura, lunghezza infinita e suadente finale amarognolo. Costa uno stonfo, ma lo vale.