Dopo qualche nota di spirito, ecco alcuni spunti di riflessione più seri sull’edizione 2018 e, in generale, sulla kermesse veronese.
ADRENALITALY
Da sempre, pure un po’ stucchevolmente, ci s’interroga su “chi ce lo faccia fare” di venire al Vinitaly. A noi e agli stessi espositori, che alla fine, in pubblico almeno, si lamentano sempre delle stesse nostre cose (caos, disorganizzazione, servizi etc) anche quando, come quest’anno, molto se non tutto è filato liscio o quasi.
Una bella risposta me la dette tempo fa, in privato, un gruppetto di produttori. La stessa che mi hanno dato stavolta alcuni colleghi stranieri: ciò che rende il Vinitaly vincente, o almeno giustifica la partecipazione, è l’adrenalina che vi si respira e che lo pervade. Quell’atmosfera elettrica, un po’ frenetica e un po’ ansiogena, insomma. Molto italiana, alla fine dei conti. Ciò di cui forse noi vorremmo fare a meno e che invece i forestieri cercano o di cui, addirittura, hanno bisogno.
Non so se sia proprio così, ma ho provato a rifletterci. E ho concluso che forse qualche ragione ce l’hanno. Questione di aspettative e di metodo, oltre che di latitudini.
ARCIPELAGO FIERA
Già altri e più autorevoli colleghi si sono cimentati nel commentare il fatto che, nella sostanza e nemmeno troppo paradossalmente, l’esistenza stessa del Vinitaly ha nel tempo prima indotto e poi consolidato l’organizzazione di più saloni “satelliti”. Declinati sì secondo diverse sfumature “contro” o “più” ma, alla fine dei conti, andati comunque a creare un sistema il cui fulcro resta solidamente Verona. Se fossimo altrove si potrebbe cominciare a parlare di un “greater Vinitaly“. In cui il senso da ricercare dovrebbe essere come mettere a sistema quest’arcipelago fieristico, anzichè interrogarsi su come tentare di riaggregarlo in una megakermesse unica con dimensioni, spazi, necessità finalità, logiche fra loro palesemente incompatibili. Insomma, qui la concorrenza sta finendo per creare indotto. Condiviso, per di più. Altro argomento su cui riflettere senza pregiudizi.
DILETTANTI PROFESSIONALI
Questione sottilissima è quella dei “dilettanti professionali”, quella cioè dei sempre copiosissimi gaudenti che, ufficialmente non si sa come, riescono a intrufolarsi in una fiera teoricamente riservata agli addetti ai lavori. La quale oltretutto, almeno nei termini programmatici conclamati, punta a ridurre numericamente sempre più le presenze, allo scopo di “qualificarle“. Anche su questo, però, bisogna forse cominciare a farsi qualche domanda.
Primo: a una fiera per soli specialisti ha un senso che si possa accedere pagando un pur salato biglietto d’ingresso?
Secondo: quanti dei teorici professionisti presenti in fiera ci sarebbero davvero stati se avessero dovuto pagare il tagliando, anziché usufruire di omaggi o altro?
Terzo: se ci sono appassionati o sibariti o perfino beoni disposti a pagare 80 euro per entrare è logico, fermo l’obbligo di contrastare comportamenti molesti, respingerli a priori?
Quarto (e ultimo): non sarà che proprio un’equibrata miscela di pubblico e di professionisti rappresenta la cifra più autentica, e per questo vincente, del Vinitaly?
PUBBLICHE SCORRELAZIONI
Il Vinitaly non è solo un formidabile strumento di vendita, ma anche un mezzo per la creazione di relazioni. Insomma un luogo per fare pr, come si usa dire. Opportunità che aziende e professionisti del settore sfruttano, giustamente, a piene mani. Occhio ai cortocircuiti, però. Perchè ormai la concorrenza tra eventi è così alta, le tirate per la giacchetta sono così frequenti e l’accavallarsi degli appuntamenti così serrato che basta un nulla per fare autogol cui nemmeno la pur proverbiale elasticità degli orari fieristici può ormai consentire di porre rimedio. Quindi, caro produttore, se organizzi una bella iniziativa e mi inviti ti ringrazio, se mi martelli con vari recall e continui promemoria lo sopporto (anche se mi rompi), ma se poi, scartando altri appuntamenti magari ugualmente interessanti, decido di accettare e tu non solo mi fai aspettare un’ora, ma così facendo mi fai andare in tilt, a cascata, tutta la pianificazione delle altre scadenze giornaliere, io prima ti odio e poi ti metto nel libro nero.
SICUREZZA PERCEPITA
Immagino che la fiera sia per le autorità di pubblica sicurezza veronesi una fonte di stress non comune. Presumo mobilitazioni, pianificazioni, controlli, vigilanze, tensioni tanto necessari quanto inevitabili. Ciò che conta è innanzitutto che non succeda nulla e poi che si diffonda la sensazione che nulla possa succedere. Beh, a parte qualche bagarino a prudente distanza dagli ingressi e un paio di tafferugli fuori dai cancelli, quest’anno non ho notato niente di spiacevole. Non mi sono giunte notizie di furti, di vandalismi, di efferate ubriacature in pubblico (al netto di una quota che definirei fisiologica). Visite dei politici a parte, non ho notato presenze allarmanti di polizia o carabinieri, presidi, agenti in assetto da sommossa. Insomma, ho respirato un’aria serena forse più di sempre. Ovviamente sono impressioni, nel senso che magari è successo chissà che e non me ne sono accorto o non l’ho saputo. Ma alla fine anche la tranquillità percepita male non fa.