Nel 2023 Andrea Bongi ha rilevato la storica Pizzeria Centrale di Pontassieve, portandoci le sue esperienze di impasto, i prodotti del territorio e un’interessante carta dei vini. L’abbiamo provata (e riprovata): ci piace.
Se dovessimo giudicare un pizzaiolo solo in base alla vigorìa della sua stretta di mano (mano che, in fondo, è pur sempre un attrezzo del mestiere), Andrea Bongi della Pizzeria Centrale di Pontassieve, popoloso paesone (o cittadina?) alle porte di Firenze, nel punto in cui la Sieve si butta in Arno, sarebbe senza dubbio ai primissimi posti della classifica.
Per fortuna il mio criterio non è questo, ma il giudizio positivo del locale, che Bongi ha rilevato e rilanciato nel 2023, dopo tre gestioni di precedente e onorato servizio risalente al 1955 (incluso quello di suo padre Romano, detto Rivellino, dal 1970 a metà anni ’80), non cambia.
Devo aggiungere che la mia non è una valutazione recentissima. Risale già ad alcuni mesi fa. Io però ho i miei tempi, preferisco metabolizzare, riflettere e magari riprovare per essere certo di non fare sbagli dettati dalla fretta o dal mancato approfondimento. Succede così, a volte, che il mio (presunto) primaziato nel segnalare locali validi venga bruciato dalle segnalazioni di altri. Ed è appunto ciò che di sicuro il nostro bonariamente mi rimprovererà in questa circostanza: eri il primo e non ne hai approfittato. Ma pazienza: vado alla ricerca di notizie sicure, non di scoop.
Uno dei motivi per i quali ne parlo solo adesso, ad esempio, è che la pizzeria, in pieno centro, ha attualmente locali piuttosto angusti (una ventina di coperti, che però triplicheranno a settembre con l’ampliamento negli spazi adiacenti), ma si affaccia su una piazzetta con dehor da 80 posti, tranquilla e godibile, cosa non da poco in estate. Un altro è che, accodandosi a un trend virtuoso in atto da qualche tempo tra i pizzaioli italiani, Bongi si è dotato di una discreta carta dei vini, molti dei quali scelti per l’abbinabilità con la pizza e per un consumo agile anche durante i mesi più torridi. La selezione non è banale: a fianco degli immancabili rossi di Rufina, che “girano” anche al bicchiere, ci sono bianchi di nicchia (il Vermentino Vigne Basse 2022 di Terenzuola, il Coda di Volpe 2022 di Di Prisco), lambruschi assai godibili (il Sorbara di Paltrinieri), rosati (il Cerasuolo bio 2022 di Rosati), spumanti e qualche Champagne, rossi venuti pure da lontano (il Pinot Nero 2022 di Brunnerhof). Interessante la scelta di amari artigianali.
Al centro di tutto c’è poi, ovviamente, la pizza.
Nemmeno questa però è banale, cosa tutt’altro che frequente in tempi in cui la ricerca dell’originalità a ogni costo tende spesso a prendere la mano e a svuotare – a modesto parere di chi scrive, si capisce – il senso del piatto, facendone un supporto di inutili fantasie.
La formula è semplice. L’impasto è alla napoletana, al 65% d’idratazione, ottenuto da farina di tipo 1, con germe di grano e grani antichi, come la Timilia e il Perciasacchi, del Molino Riggi di Caltanissetta, oppure da farina di tipo 0, da grano toscano macinato a pietra, del Molino Grifoni in Casentino. Gran parte delle altre materie prime Bongi le pesca dal ricco territorio circostante e dalle sue diramazioni (anche fluviali) col resto della Toscana e d’Italia. Alcuni esempi: pomodori vesuviani, alici di Cetara, tarese del Valdarno, bardiccio della Valdisieve, prosciutto Grigio del Casentino e i funghi, presenza costante in molti pizze, che tuttavia il nostro pizzaiolo, cercatore professionista, si raccoglie da solo nei boschi vicini.
La lista prevede una cinquantina di tipologie, divise in diverse categorie: “Variazioni di Margherita“, “Le classiche“, “Ricordi d’infanzia“, “Le pizze di Andrea” e “Le ripiene“. L’idea è di proporre uno stile all’interno del quale i differenti tipi possono “muoversi” in funzione di varianti, prodotti disponibili (magari stagionali) o pensati dal Bongi medesimo.
Non voglio annoiare nessuno facendo pedanti ed analitici elenchi. Mi limito a dire che la qualità è elevata e che la ricerca dell’equilibrio tra gli ingredienti appare tra le migliori virtù della Pizzeria Centrale. La piacevole granulosità dell’impasto da farine di tipo 1 conferisce alle pizze una croccantezza inattesa che aggiunge fragranza all’insieme e giova anche alla gradevolezza olfattiva, accresciuta da una bella scelta di extravergini da versarsi a piacere, si capisce, a crudo.
Personalmente ho testato la Margherita con antichi pomodori di Napoli, la Napoli rivisitata, la Cosacca (con conciato romano), la Beba 99 (con la tarese del Valdarno) e la Casentinese (col prosciutto di Grigio), ma suggerisco di sbizzarrirsi. D’obbligo un assaggio di qualcosa coi funghi, ad esempio, e certe proposte estemporanee che, se ci sono, non deludono.
Spesa media sui 15 euro, bevande escluse.
Ultimo suggerimento. Se alla fine deciderete di complimentarvi col pizzaiolo, non stringetegli la mano: ve la stritola.