Ci eravamo conosciuti che lui aveva trentacinque anni e io ventisette. Io principiante nel mondo vinicolo e giornalistico, lui già scafato ma ancora in fase di entusiasmo: s’era appassionato di mountain bike e vagheggiava di usarla per girare tra le vigne. Aveva già un’anima bio. Arrivava, ansimante e bardato da ciclista, nel cortile di Capezzana, dove sua sorella Beatrice e l’indimenticabile padre Ugo lo aspettavano. Filippo era ancora un bimbo o quasi.
Ci siamo visti spesso per qualche tempo attorno a bicchieri e bottiglie, poi ci siamo persi a lungo, come capita nella vita, ma senza smarrire quella sobria cordialità reciproca cementata in anni lontani e pieni di energia.
Sapevo che non stava bene, ma non pensavo al punto di rischiare di perderlo così repentinamente.
Inutile dire che mancherà. Non solo a noi.
