Mi sto ancora stropicciando gli occhi. Anzi, le orecchie.
Ricevo un comunicato stampa su una conferenza piena di temi interessanti e di personaggi da intervistare. Non si parla però di giornalisti nè di conferenze stampa, sottolineando che l’evento è riservato agli iscritti.
Allora invio un’email chiedendo se è possibile incontrare i relatori o avere almeno un quadro dei temi sviluppati.
Passano due ore e squilla il telefono.
E’ una dell’ufficio stampa:
Lei: “Buon giorno, sono xy dell’agenzia yz, ho letto la sua email e volevo alcune informazioni”.
Io (dopo un attimo di esitazione): “Dica pure, ma veramente le informazioni le avevo chieste io a voi”.
Lei: “No, cioè sì, lo so, ho letto la sua mail e ho anche visitato il suo sito, ma volevo informazioni su di lei”.
Io (sbalordito ma sul punto di irritarmi): “Su di me? E che vuol sapere?”
Lei: “Che cosa le interessava”.
Io: “Come cosa mi interessava, l’ho scritto sull’email!”.
Lei: “Sì, lo so, ma volevo sapere…lei…su che cosa pubblica…” (nb: l’uso del verbo pubblicare al posto di scrivere mi è insopportabile, ma resisto).
Io: “Mah, viste le sue mansioni, per chi lavoro lo dovrebbe sapere già visto che mi ha pure mandato un comunicato stampa e prima di chiamarmi ha anche visitato il sito, ove è scritto nero su bianco per chi lavoro”.
Lei: “Ah, ecco, allora pubblica (grrrr, ndr) su quei giornali che ho visto sul sito”.
Io: “Eh già, sennò che ce li avrei messi a fare?”.
Lei: “Ho capito” (meno male, penso tra me e me).
Io: “Quindi?”
Lei: “Cosa le interessa? Intende pubblicare qualcosa su quei giornali?”.
Io (trattenendomi): “Dipende. Dipende da se e chi posso incontrare, da cosa mi viene detto, dai contenuti del convegno”.
Lei: “Ok, allora le rispondo all’email”.
Ecco.