di LORENZO COLOMBO
“Albare” 2009 Soave Doc Portinari: fu Gino Veronelli a definire così questo vino, frutto di una lunga sperimentazione tra strani sesti d’impianto e “doppia maturazione ragionata”. Ma che regge anche dopo 16 anni.
Riassaggiamo questo vino a distanza di 14 anni dalla prima volta: era il giugno del 2011 quando, a margine dell’evento Vulcania ci ritagliammo mezzo pomeriggio per visitare l’Azienda Portinari, a Brognoligo, una frazione di Monteforte d’Alpone.
Conoscevamo già alcuni dei vini aziendali, ma non avevamo ancora avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con chi questi vini produceva e dobbiamo dire che quelle due ore in compagnia di Umberto e Maria volarono via tra un buon numero d’assaggi e la ricostruzione da parte di Umberto, del percorso aziendale proiettato anche nel futuro.
Ad affiancare lui, che aveva fondato l’azienda nei primi anni ’80, ci sono i figli Silvio (in campagna) e Maria (in cantina). Bio dal 2019, dispone di quattro ettari di vigna suddivisi un due appezzamenti, Ronchetto nella zona classica e Albare in pianuta.
Il vigneto Albare, impiantato nel 1985 su suoli alluvionali, argillosi, “anche se ad una profondità di circa due metri si trova uno strato ciottoloso basaltico, che conferisce un gusto particolare ai vini”, dice Portinari, quel gusto che, ricorda ancora, l’ha colpito tantissimo nell’annata 1994 (“…ma peccato non ci siano più bottiglie”).
In questo vigneto dove le viti, allevate a pergola monolaterale, con una distanza tra i filari di quattro metri (avete letto bene), poiché “il problema della Garganega sta nel contenerne la produttività, ora produciamo circa 100 q.li /ha, ma trent’anni fa si arrivava anche a 350 q.li/ha ed inoltre non va costretta in piccoli spazi”, ha dapprima sperimentato, avvalendosi della collaborazione dell’Istituto di Conegliano, nella figura del Prof. Carniello, direttore dell’Istituto e quindi utilizzato in toto il sistema di “doppia maturazione ragionata”, che prevede il taglio, a circa metà lunghezza, del tralcio produttivo, lasciando i grappoli in pianta. In questo modo si ottengono due diverse maturazioni del frutto: la parte rimasta connessa alla pianta va in surmaturazione, mentre quella ormai scollegata appassisce. Successivamente viene effettuata la vendemmia contemporanea delle due tipologie, che vengono quindi vinificate.
Questa pratica è ormai consolidata, tanto che il Cru Albare viene prodotto in questo modo sin dal 1994.
Che sia o meno merito di questa particolare maturazione, sta di fatto che questo vino ottiene sempre più spesso notevoli apprezzamenti, sia da parte dei consumatori che dalla critica enologica: Umberto ricorda a tal proposito un vecchio articolo di Luigi Veronelli sull’Espresso relativo all’Albare: “Non è un vino “gabbadeo” scriveva il grande Gino. Consultando un vecchio dizionario, il Novissimo Dizionario della lingua italiana “Palazzi” seconda edizione 1957, troviamo questa parola ormai desueta (“gabbacristiani, gabbamondo”).
E’ anche un vino che ha dato prova di notevole longevità (in quell’occasione avevamo assaggiato l’annata 2002), frutto di un lungo percorso iniziato nel 1992 e costellato da numerose sperimentazioni, con tagli del tralcio effettuati in diversi momenti della maturazione, sino ad arrivare alla formula attuale, che è comunque sempre legata all’andamento stagionale. “Le conoscenze vengono costruite anno per anno –dice Umberto– ogni anno si aggiunge un nuovo tassello”.
Ovviamente abbiamo trovato un vino diverso rispetto a quanto lo descrivemmo allora, del resto sono passati quasi tre lustri. Di conseguenza ora si presenta con un color oro antico, con una media intensità olfattiva che non denota alcun segno d’ossidazione. Si colgono sentori di confettura di pesca e d’albicocca, albicocca disidratata, frutta secca, nocciole, mandorle, accenni di vaniglia e di miele. Buona la sua struttura, alla bocca ritroviamo tutte le sensazioni colte al naso unite a sentori di susine e mela matura, buona la sua persistenza.
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