Che social e addentellati vari siano delle astute spie, introdotte maliziosamente dal sistema globale nelle nostre vite per studiarle e condizionarle, è scoperta antica. L’aspetto grottesco della vicenda è che noi sembriamo ben lieti di essere spiati e che facciamo di tutto per assecondarli, ma il discorso è un altro.
La Spectre digitale ha infatti, ovviamente, anche meccanismi operativi molto più sofisticati.
Il primo è quello che, nell’allegra mistura di pubblico e privato circolante su internet, pure fuori dall’ambito commerciale e propagandistico consente a gendarmi, nemici, concorrenti e invidiosi di mettere il naso nelle nostre cose: in pratica è come se avessimo la guardia nascosta nel bagagliaio dell’auto mentre parcheggiamo in divieto di sosta,
Il secondo, più sottile, si cela invece nel meccanismo ipocrita dell’amicizia on line, non a caso parafrasato con l’espressione “linkare” o “linkato”, che naturalmente e appunto non vuol dire amico in senso proprio. Succede infatti che tra le richieste di contatto diramate attraverso i social network, e dalle quali siamo alluvionati, ce ne siano alcune, spesso neppure sotto pseudonimo, ma proprio con nome e cognome veri, aventi finalità ostili. Di persone, cioè, con le quali non avremmo proprio alcun interesse, o utilità, o convenienza, a condividere nulla ed anzi sarebbe opportuno ci tenessimo alla larga: dall’ex di vostra moglie all’inquilino moroso, dal torquemada del fisco al venditore molesto.
Eppure loro tentano continuamente di insinuarsi e noi, per distrazione o superficialità, talvolta ci caschiamo.
Per proseguire nella metafora, è come se dessimo un passaggio all’agente della Polstrada nel tratto in cui regolarmente superiamo il limite di velocità.
Di questi aspiranti intrusi, stamattina ne ho beccati un paio. Ma anzichè compiacermene, ho cominciato a pensare a quanti potrei averne fatti passare.
Urge filtro con pulizia etnico-digitale.