Non tutto è oro ciò che luccica e men che meno l’argento.
Pare infatti esserci una raffinata strategia dietro alla notizia secondo la quale Chijindu Ujah (omen nomen?), il primo staffettista della 4×100 olimpica in cui gli albionici si sono piazzati secondi, sarebbe indagato per doping, con rischio di squalifica dell’intera squadra.
Una strategia che riguarderebbe addirittura la totalità del pacchetto della velocità maschile inglese e non solo.
Tutto nasce, sembra, dal famoso vezzo britannico di non gradire i premi per i secondi classificati, men che meno se da appendere al collo.
Dopo l’umiliazione pedatoria di Wembley, dagli ambienti dell’UKA (la federazione di atletica leggera d’oltremanica) filtra la voce che l’indagine antidoping sarebbe in realtà il frutto di un diabolico piano per sfilarsi ad ogni costo l’umiliante medaglia olimpica.
Alla stessa strategia avrebbe attinto anche la falsa partenza del centometrista Zharnel Hughes, costatagli la squalifica: avendo intuito la malaparata, ha simulato il jump start preferendo l’esclusione al rischio di una medaglia d’argento.
Più rusticani di lui, invece, i canottieri del quattro senza di sua maestà i quali, per non saper nè leggere e nè scrivere, a Tokyo hanno direttamente tentato di speronare l’armo italiano che stava loro davanti.
Sempre sportivissimi, questi inglesi.
Del resto, come dice anche un popolarissimo meme circolato in questi giorni, in Inghilterra anche Elisabetta è seconda…