La legge obbliga i social a pagare “equamente” l’editore per la pubblicazione on line degli articoli, ma non obbliga l’editore a pagare “equamente” i giornalisti che hanno prodotto gli articoli.
La questione dell’equo compenso, di cui millanta volte si è parlato, l’ultima qui giorni fa, su Alta Fedeltà (al punto che, francamente, comincia a stufare anche il sottoscritto), non manca mai di offrire nuovi colpi di scena.
Si apprende infatti che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGcom) ha condannato il social network LinkedIn, di proprietà Microsoft, a pagare 200mila € al gruppo Gedi (Repubblica e La Stampa) come “equo compenso” per la pubblicazione nel 2022 di contenuti di proprietà di quella società editoriale.
Al di là dei possibili ulteriori strascichi legali della vicenda, fin qui nulla di strano: l’articolo 43-bis della legge sul diritto d’autore, che attua la direttiva Ue sul copyright, riconosce agli editori di pubblicazioni giornalistiche il diritto a un equo compenso per l’utilizzo dei loro testi da parte delle grandi piattaforme online.
La norma stabilisce, però, che gli editori devono anche negoziare con gli autori, cioè i giornalisti, una quota tra il 2 e il 5% di quel compenso.
Ed eccoci all’acqua.
Anzi, al doppio paradosso:
1) ci sono norme che tutelano gli editori di fronte alle piattaforme on line, ma
2) non ce n’è alcuna che garantisca ai giornalisti un equo compenso per i contenuti che essi producono, contenuti non a caso pagati dagli editori medesimi somme ridicole o simboliche (somme che – va detto – nella gran parte gli autori inspiegabilmente accettano).
Non ho poi idea, ma potrei interessarmene, nemmeno di quale percentuale della quota destinata ai giornalisti del compenso versato dalle piattaforme all’editore in parola sia stata negoziata, nè di quale sia il criterio in base a cui la somma verrà poi distribuita tra gli aventi diritto. Se, ad esempio, essa sarà versata ai singoli autori in ragione degli articoli a loro firma pubblicati dalla piattaforma, oppure se a forfait, o se in altre modalità, tipo in proporzione del corrispettivo originale pagato per la prestazione.
Faccio solo un semplice calcolo: anche se l’aliquota fosse del 5% su 200mila euro, farebbero in tutto 10mila euro, da suddividere tra i giornalisti (coi criteri suddetti) in base a tutti gli articoli di proprietà Gedi che una piattaforma delle dimensioni di LinkedIn ha pubblicato in una intera annata. Praticamente briciole che vanno a sommarsi ai compensi-briciola.
Però poi il sindacato si riempie la bocca con l’equo compenso.
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