Non c’è solidarietà che tenga: difendere la categoria in quanto tale è impossibile. Non solo perchè essa non riflette più la professione, ma perchè una gran parte vive a difesa dell’indifendibile o nell’inconsapevoelzza della realtà.
Io sto sempre dalla parte dei colleghi, cioè dei giornalisti, a condizione che facciano i giornalisti, ovvero esercitino realmente quella complessa professione che obbliga da un lato ad approfondire le cose e da un altro a verificarle e semplificarle per spiegarle bene al lettore, onde rendere la verità dei fatti comprensibile a tutti. Impresa, appunto, difficilissima.
Ho invece molta più difficoltà a difendere i giornalisti in quanto tali, ossia per il fatto stesso che ne abbiano la qualifica, ma poi non rispettino i principi della medesima: marchettari, militanti, embedded, simulatori e vispe terese in primis. Insomma il contrario dei giornalisti. E poi quelli che, arroccati nelle loro defilate posizioni, invocano la solidarietà degli altri senza offrirla e senza averne mai offerta alcuna, o quelli che non mettono mai il naso fuori dall’ufficio e non hanno idea di com’è il mondo reale, quindi straparlano di universi virtuali, spesso suggeriti dalla controparte, cioè l’editore. Lo stesso che poi, ma solo a parole, fieramente avversano.
Non è da ora del resto che la categoria è fuori traiettoria, come lo sono le istituzioni che la rappresentano. Ma mai quanto adesso c’è la sensazione che la parabola sia alla fine e che tutta quell’architettura mista di potere, sindacalismo, collusioni, autoreferenzialità, sinecura e beata inconsapevolezza del giornalismo italiano stia per collassare. Non ci sarà bisogno della spallata dell’IA, faremo da soli.
Se accadrà, e temo che accadrà, ci resteremo tutti sotto, colleghi bravi e seri compresi, e, da privilegio vero o presunto, l’appartenenza alla professione si trasformerà in un deserto autentico, come del resto già è diventato per buona parte della categoria medesima, lasciata per troppo tempo alla deriva.
Rimane tuttavia incomprensibile perchè, di ciò, nessuno o quasi sembri rendersi conto.
Allo stato delle cose, siamo diventati inutili: poveri di reddito e di prestigio, non procuriamo nemmeno utili all’industria editoriale, che ci detesta, non abbiamo quasi più influenza sull’opinione pubblica, che preferisce informarsi da quelle fonti non giornalistiche a cui proprio noi, abdicando al controllo sulla professione, abbiamo consentito di affermarsi irreversibilmente, e siamo giunti al paradosso che una buona metà noi – noi nel senso di iscritti all’Ordine, senza entrare nel merito di come – paga per lavorare anzichè farsi pagare.
L’avrete capito: oggi non è un buon martedì.
Photo credits: Dorothy O’Connor, dorothyoconnor.com
