Elezioni OdG 2013: perchè mi (ri)candido in Toscana.

Il 19 e il 26/5/2013 i giornalisti votano per il rinnovo dei vertici dell’Ordine nazionale e regionale.
Mi candido tra i professionisti per il Consiglio OdG della Toscana.
Sono un indipendente per natura e vocazione, non mi piacciono le parrocchie.
Per questo faccio sponda con una galassia movimentista, questa, nata dall’aggregazione di altre teste autonome e indipendente. Un laboratorio permanente? Fate voi.
Chi sono lo leggete qui.
Cosa penso sulle questioni più scottanti che oggi attraversano la categoria lo leggete invece nei tanti post della sezione “scrivere per mestiere” di questo blog e qui sotto.

Per cosa intendo impegnarmi nell’Odg della TOSCANA:

Stop al giornalistificio: una seria verifica dei requisiti di accesso alla professione è la prima condizione per una vita professionale degna di questo nome
Revisione degli albi: biennale, come stabilisce la norma
– Un rapporto più diretto, utile e pratico tra i giornalisti toscani (tutti i giornalisti e in particolare gli autonomi, spesso pesci fuor d’acqua a casa loro) e l’Ordine
Un’azione politica estesa e profonda a difesa della professione, della sua credibilità, della sua onestà: in una parola, trasparenza
Rafforzamento della solidarietà tra colleghi (dalla Carta di Firenze in giù)
Monitoraggio e interventi costanti sui punti “caldi”: equo compenso, riforma dell’Ordine, assicurazione professionale, tutela sindacale, rispetto della deontologia, formazione e aggiornamento, esperienze formative, etc)
Fuori la politica dal giornalismo, in tutti i sensi
Trasversalità: non appartengo a parrocchie, non faccio ampie intese, non sono contro nessuno e non accetto che qualcuno sia contro di me, ragiono con tutti, difendo le mie idee, penso con la mia testa, obbedisco alla mia coscienza.

Cosa penso sulle grandi questioni della PROFESSIONE:

EQUO COMPENSO: un’importante questione di principio, che va intesa come fissazione di un minimo inderogabile e non certo come una tariffa unica. In quanto principio morale, è impensabile che – come molti ingenuamente credono – si traduca in “più soldi per tutti”. Al contrario, se e quando entrerà in vigore, l’equo compenso produrrà una brusca selezione e un taglio secco dei collaboratori, che sarà direttamente proporzionale alla soglia minima fissata ex lege. Il che non toglie che si tratti di un tassello fondamentale nella restaurazione della dignità professionale dei giornalisti.
CARTA DI FIRENZE: è il corrispondente deontologico dell’equo compenso. Una norma dovuta al rispetto della quale, per il principio della solidarietà professionale, tutti sono moralmente tenuti ad attenersi e la cui violazione può, se denunciata, tradursi in sanzioni concrete. Nemmeno la carta risolverà i problemi della categoria, ma contribuisce a dare fisionomia e dignità alla professione.

RICONGIUNGIMENTO: un pastrocchio inutile e fuorviante con cui si è voluto illusoriamente convincere i “professionisti di fatto” che, diventando anche “professionisti di nome”, la loro vita professionale potrà cambiare in positivo. Il passaggio si tradurrà invece solo in vincoli molto più stretti, nella costanza del deserto occupazionale e retributivo. Naturalmente non si nega il diritto morale di chi svolge a tempo pieno la professione ad accedere all’esame di stato, bensì il fatto che ciò comporti un miglioramento materiale di qualche tipo; e che sia ammissibile acquisire il praticantato senza aver dimostrato di possedere il requisito della redditività, che è elemento costitutivo della professionalità. Senza reddito, è inutile tanto essere professionisti, quanto pubblicisti. Per gli autonomi il nodo vero è il reddito giornalistico, non l’elenco di appartenenza.

RIFORMA DELL’ORDINE: è ovviamente indispensabile, come lo è da trent’anni. Purtroppo non spetta all’Ordine farla, ma al Parlamento. L’unica riforma seria e aderente alla realtà di oggi sarebbe una riforma che prevedesse per tutti (come del resto le norme Ue prevedono) un percorso di istruzione preciso e un esame di stato, superato il quale poter scegliere se esercitare la professione a tempo pieno (professionisti) o meno (pubblicisti), sempre con il comune obbligo di rispettare la deontologia e di salvaguardare il prestigio della professione.
FNSI: è il sindacato che difende e ha sempre difeso (bene) i contrattualizzati. Nonostante ogni sforzo, però, per la Federazioni tutti gli altri giornalisti – freelance, cococo, precari, pubblicisti, abusivi, autonomi in genere – restano ufo. Non per cattiva volontà, ma per totale incompetenza e granitica mentalità “contrattualistica”. Per il sindacato gli autonomi sono “disoccupati cronici”, autonomi per necessità insomma. E qui finisce il discorso.

ASSICURAZIONE: nel 2012 si è aggirato l’obbligo dell’assicurazione professionale dicendo che “i giornalisti non hanno clienti”. Falso: per un libero professionista l’editore è un cliente a tutti gli effetti. Quindi il problema va affrontato. E non solo in un’unica dimensione, quella “verso terzi”, ma nella sua globalità: il giornalista autonomo ha bisogno attorno a sé – per una volta in cointeresse con l’editore che lo incarica – di una “gabbia assicurativa” che metta l’uno e l’altro al riparo da imprevisti, responsabilità, spese generatisi accidentalmente nell’esercizio della professione e nello svolgimento del mandato. Occorre quindi che tutti insieme – giornalisti, Ordine, sindacato, committenti – i soggetti interessati elaborino un prototipo assicurativo, da negoziare con primarie compagnie, obbligatorio per tutti e il cui costo venga contrattualmente condiviso, spalmandolo equamente, tra tutti i soggetti di cui sopra. Si potrebbe chiamare la “kasko per i giornalisti”.

ACCESSO ALLA PROFESSIONE (E MANTENIMENTO DELL’ISCRIZIONE ALL’ALBO): se giornalista è chi lo fa, chi lo fa non avrà difficoltà a dimostrarlo superando i (modestissimi) requisiti necessari per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti o il non irresistibile esame di stato per iscrizione all’elenco professionisti. Gli albi vanno poi, ex lege, rivisti ogni due anni e, di nuovo, per chi davvero svolge la professione non sarà difficile dimostrare di svolgerla ancora. L’argomento dei “diritti quesiti” in base al quale, dopo dieci anni di detenzione del titolo professionale, questo debba considerarsi appunto “acquisito” non è affatto convincente: essere giornalista non è un distintivo o un’appartenenza a un club, ma una qualifica professionale. Se giornalista è chi lo fa, chi non lo fa cessa di esserlo. E solo se ricomincia può tornare a esserlo. Il vero problema (vedi “ricongiungimento”) non è l’elenco di appartenenza, ma un Ordine in cui accedere a un elenco è irrisorio, mentre a un altro quasi impossibile per motivi di reddito (azzerato dalla pletora di manovalanza gratuita).

DEONTOLOGIA: è alla base della dignità e del prestigio della professione. Il suo rispetto va perseguito senza sconti né interruzioni, perché dalla disonestà o dalla scorrettezza di pochi dipendono la rispettabilità e la credibilità di tutti. Occorrono regole semplici e chiare che stabiliscano chi può fare cosa, quando e come. All’interno di questi paletti, attività libera.