Il segno che di tempo ne è passato tanto, anzi forse troppo, si ha quando, come nel caso di Hulk Hogan, il wrestler scomparso oggi, qualcuno muore e il 90% dei commentatori ne rievoca la parte di carriera meno rilevante, tarda, la più vicina alla memoria della mezz’età attuale, non avendo ricordi (e quasi nessuno chiedendo loro di averne) della vera epoca d’oro del defunto.
La stragrande maggioranza dei coccodrilli che ho letto oggi in giro si rifà pateticamente proprio all’aneddotica degli anni ’80 e ’90, quando il povero Hulk era già un fenomeno da baraccone in declino.
Nessuno, o quasi, che abbia rammentato gli scontri degli anni ’70 con Antonio Inoki e le telecronache in bianco e nero di Tony Fusaro, quando quello che oggi si chiama wrestling si chiamava catch e in Italia pochissimi sapevano cosa fosse, me compreso si capisce. Ma Hulk Hogan c’era già. E siccome il circuito era quello giapponese, alla fine perdeva pure sempre.