In un libello appena pubblicato da Hoepli (con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze) un’utile “Guida al recupero” della casa rurale in Toscana: manuale pratico ad uso di architetti, geometri, impresari e soprattutto committenti. Per evitare di diventare complici del villettismo imperante.

Quella delle “buone pratiche per” è una stucchevole espressione di importazione comunitaria, che evoca precetti da collegio e moralismo peloso da burocrazia incallita. Quindi la detesto.
Ma che, spogliata della patina verbale, vuol significare un principio buono e giusto: cioè l’esistenza, in un determinato contesto, di una serie di modi di operare i quali, se bene e coralmente applicati, garantiscono un risultato soddisfacente. E, soprattutto, evitano i danni.
Il senso di “La casa rurale in Toscana, guida al recupero” di Ilaria Agostini, architetto e docente esterno alle Università di Firenze e Perugia, da poco ripubblicato da Hoepli con il meritevole sostegno dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, è esattamente questo. Con l’aggiunta che il volume non è rivolto – come tanti altri usciti in precedenza sul medesimo argomento, invero assai di moda nei passati decenni – agli storici, agli architetti e agli studiosi della materia, ma all’utente finale: tecnici, geometri, pubblici amministratori, impresari edili e, massime, i proprietari del fatidico “rustico” da restaurare. Cioè coloro che, in definitiva, con le loro scelte sono i principali artefici del risultato finale.
Un risultato, diciamolo subito, nella maggior parte dei casi sconfortante, in quanto spesso frutto del mortale abbraccio fra la cronica mancanza di gusto e la carenza di cultura del committente da un lato, l’inesperienza e l’incompetenza del progettista dall’altro, la fretta di tutti, il desiderio (legittimo, ma non sempre razionale) di “risparmiare” del proprietario e quella di incassare (gli oneri vari) delle pubbliche amministrazioni. Le quali, “popolate” di ignoranti tanto e quanto la loro controparte privata, finiscono così per assecondarne e a volte perfino incoraggiarne (sembrando ad ambedue “bello” ciò che è orrendo) gli scempi.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti (mi sono dilungato sull’argomento più volte anch’io, come qui e qui, fino a farmi parte attiva della disputa). Ma il villettismo, i nanetti sul muro del giardino, i leoni rampanti sull’ex sobria cancellata non sono che l’espressione più appariscente dello strisciante kitsch che pian piano abbraccia la campagna, toscana e non, e che si materializza nella smania di rifare, demolire, scrostare, adattare, scambiando per vecchio l’antico, per brutto il bello, per fradicio il prezioso. Fino al pernicioso tentativo finale di rendere omogenea l’architettura del fabbricato, non di rado seguendo modelli cartolineschi o da pubblicità televisiva, rimuovendo quei segni di stratificazione architettonica, di “vissuto” insomma, che spesso ne rappresentano il massimo pregio.
Ecco, il volumetto della Agostini tenta di andare in soccorso proprio di chi, punto dal dubbio di non saperne abbastanza o di voler saperne di più, cerca quel coacervo di informazioni minime necessarie a capire il perché (e il come e il dove) dell’architettura rurale e delle possibili soluzioni per preservarne le caratteristiche, senza perdere di vista una sana, ragionevole gestione economica delle operazioni.
La Guida al recupero interpreta appunto e “descrive gli aspetti ‘pubblici’ della casa: fisionomia, modalità compositive, tecniche costruttive e rapporto tra edificio e territorio agricolo. Un ricco repertorio di fotografie e di disegni originali forniscono al lettore indicazioni di immediata lettura ed esempi di buone pratiche per la trasmissione nel tempo e la trasformazione nella continuità storico-geografica dell’abitato rurale”. Ed è proprio grazie alle copiosissime “figure”, agli schizzi e agli esempi, alle tabelle di “sì” e di “no” che il lettore potrà facilmente individuare i diversi casi e regolarsi di conseguenza, secondo materiali, stile, tipologia, area geografica.
Un manuale caldamente consigliato, diciamolo, anche a chi, senza possedere un rustico, volesse andar per campagne a farsi beffe delle scelte pacchiane altrui.