VIAGGI &PERSONAGGI, di Federico Formignani.
Il ponte sul Paranà vomita da una sponda all’altra 50 milioni di persone all’anno e collega il paese lusitofono a Ciudad del Este, la città-formicaio paraguayana dove “la giustizia è una ragnatela: i piccoli ci si impigliano e i grossi la lacerano“…

 

Victor, l’autista, ferma l’auto nello slargo che fronteggia la copertura in metallo sotto la quale si infila la strada a due sensi di marcia che porta in Brasile. Con Victor c’è anche Hugo Villalba, del Ministero del Turismo di Asunción; dopo un paio di tiri di sigaretta, fissando il vuoto della folla che si accalca verso il posto di controllo, recita (più a sé stesso che a chi gli sta attorno) un antico proverbio Guaranì: “…la giustizia è come una telaraña (ragnatela, ndr): solo i piccoli vi si impigliano, quelli grossi la lacerano”. Metafora che calza alla perfezione al Paraguay, aggiunge vivace Hugo, in particolar modo alla città di Ciudad del Este nella quale ci troviamo. Spiega Hugo che sino al 1989, anno in cui il generale Alfredo Stroessner è stato cacciato dal paese ponendo fine a una dittatura che durava da ben venticinque anni, la località aveva il suo nome: Puerto General Stroessner. Con la sua fuga in Brasile (un episodio chiacchierato per anni, perché il generale aveva fatto smontare i marmi preziosi che ricoprivano la villa, caricandoli sui camion che andavano in esilio!) ai paraguaiani è rimasto il compito di ribattezzare questa cittadina che cresceva a vista d’occhio, proprio in virtù dei continui traffici con la grande nazione di lingua portoghese. Alla fine, hanno identificato il centro cresciuto a bordo fiume con la posizione geografica che occupa: Ciudad del Este, perché la più orientale e perché si trova sulla sponda del Paranà che fronteggia il Brasile. Oltretutto, questa parte di oriente è a un tiro di schioppo anche dall’Argentina e dalle famose cataratas (cascate) di Iguazù.

Seconda città del Paese per importanza, Ciudad rappresenta l’espressione più bizzarra di una realtà urbanistica in perenne equilibrio tra caos edilizio e modernità, microcosmo incredibile di un’umanità in continuo affanno e movimento per la sfida giornaliera della sopravvivenza. Un grande teatro vivo, il viale che conduce al Ponte dell’Amistad (amicizia) che oltre confine, in Brasile, diventa Amizade. Accanto ai numerosi palazzoni e grattacieli del centro, alcuni dei quali nei piani alti mostrano il solo scheletro in cemento perché sono venuti a mancare i soldi per terminarli, si infilano case più basse e più modeste, tutte o quasi “vista strada”, nel senso che si aprono in negozi e negozietti, in piccoli antri scuri che danno direttamente sulle vie o, molto spesso, su portici artificiali costituiti da tettoie in lamiera, cartongesso, cartone, tenuti su dai tipici tralicci triangolari a losanghe sovrapposte che fuoriescono dagli improvvisati tetti per reggere, a loro volta, insegne luminose, cartelli e fili della luce, del telefono. Fili e cavi che corrono da un marciapiede all’altro, da un casamento all’altro: sospesi, intrecciati, fluttuanti nel vento, indecifrabili nella loro funzione. I camminamenti scoperti o le improvvisate gallerie sono punti vendita sempre affollati e non mancano certo anche i venditori ambulanti, sparpagliati dappertutto. I negozi più importanti o quelli che hanno merci preziose, vengono presidiati da guardie armate. La gente di Ciudad, spiega Hugo, traffica e vende di tutto, dall’alba al tramonto. La notte, per contro, la città è spettrale e deserta; solo qualche bar, quasi nessuno per le vie, le solite auto con le radio a tutto volume che imbarcano giovani che, loro sì, sanno dove andare.

Attraverso il ponte, i brasiliani arrivano di buon mattino con sporte e sacconi vuoti e ritornano a casa nel pomeriggio o a sera compiendo grandi esercizi di equilibrismo e notevoli sforzi per trasportare i molti e più convenienti oggetti acquistati. Chi può noleggia una delle tante moto che stazionano presso la dogana paraguaiana (c’è un casco pronto per il cliente!) mentre chi noleggia un taxi, oltre alla spesa, deve mettere in preventivo – per i circa dieci chilometri che separano Ciudad del Este da Foz do Iguassù – un’ora buona, se va bene, di gas di scarico e di caldo opprimente. Ciudad è un formicaio umano e il ponte un passaggio obbligato: auto, camion e pullman vanno e vengono su tre file affiancate. Una rete metallica, per tutta la lunghezza del ponte, separa i veicoli dalla folla che percorre a piedi i due camminamenti a ridosso dei parapetti; più sotto, una trentina di metri circa, scorre il Paranà. Le statistiche dicono che il ponte dell’Amistad vomita dal Brasile circa cinquanta milioni di persone ogni anno.