Più passa il tempo e più hai la riprova che la tua generazione è diventata una minoranza. Le occasioni si moltiplicano, ma di solito ne arriva una che le sublima e le sintetizza tutte.

A me è capitata, temo, qualche giorno fa.

Grande evento fiorentino a cui all’ultimo momento mi viene chiesto di presenziare. Per economia di tempo penso di andare direttamente al banco accrediti: meglio fare un po’ di trafila lì che perdere ore in email inevase, telefonate senza risposta, eccetera.

Sbarbato, giaccato, incravattato, svelto e spigliato, mi presento, seguo le indicazioni “press” (una volta, nella città di Dante, si sarebbe detto stampa: brutto segno ma cerco di non pensarci) e arrivo a un bancone presidiato da giovanissime che potrebbero essere mie figlie. Scaccio il pensiero che forse potrebbero essere anche nipoti e mi presento: “Salve, sono un giornalista e vorrei un accredito“, dico sorridente, porgendo tessera professionale e biglietto da visita.

Mi aspetto che mi chiedano, al massimo, quale testata rappresento. E sono già pronto a zittirle pronunciando il nome del giornalone mio committente.

Le due invece si guardano smarrite con l’aria di pensare “E ora?“. Osservano la tessera rossa come se avessi esibito loro un meteorite. Il mio biglietto fresco di tipografia lo rimirano con circospezione e lo tengono a distanza, quasi ci fosse il rischio di contaminazione da antrace.

Dopo alcuni secondi di imbarazzo, una mi fa: “Ma lei è registrato?“.

Io: “No. Registrato dove?“.

Lei: “Sul portale“.

Io: “No, sono venuto alla spicciolata. Questa è la mia tessera professionale“.

Lei: “Oddio. Come si fa?“.

Io: “Scusi, qual è il problema? Mi inserisca ora“, suggerisco risospingendo verso di lei tessera e biglietto da visita.

Lei (ritraendosi di nuovo): “A mano non si può, bisogna seguire il procedimento telematico“.

Io, sempre sorridendo ma meno di prima: “Ma è uno scherzo?“.

La tizia non risponde e ormai in preda al panico (forse indotto anche, non lo escludo, dalla mia espressione che dallo sbigottito stava appunto virando in spazientito) prima si consulta a bassa voce con la collega, poi chiama un’altra che ha l’aria di essere il capo.

Confabulano, ammiccano. La più giovane sventola la mano simulando, mi pare, il significato di “tesserino” come io, al suo posto, simulerei “treno a vapore“, “calesse“, “fionda“.

Dopodichè la più anziana alza le spalle, digita qualcosa sulla tastiera, stampa un adesivo, mette la mano sotto il banco, tira fuori un pass, ci appiccica l’adesivo sopra e lo dà alla ragazza, che corre a porgermelo con un sorrisetto accondiscendente.

Ancora smarrito, me lo metto al collo, ringrazio e mi avvio all’ingresso. Prima di entrare, una vocina mi suggerisce però di controllare che c’è scritto sull’accredito. Guardo: “Backer“. Attimo di riflessione: vuol dire sostenitore“.

Il digital and registry divide mi ha retrocesso da giornalista a fan.

Olè.

Sipario.