L’idea forse più bella della terza Florence Cocktail Week in programma a Firenze dal 30/4 al 6/5, format  che porta in giro per il mondo le creazioni dei migliori bartender locali e mondiali, è quella di provare a tracciare un parallelo culturale tra spirito come alcool e spirito come pneus.

 

Chi mi conosce sa che non sono un accanito consumatore di cocktail, genere di bevanda che, sotto la spinta della propaganda globale, da qualche tempo va per la maggiore – nel senso dei grandi numeri e quindi del fenomeno di massa – anche in Italia.
Naturamente non nego che l’arte della miscelazione abbia un suo perchè, nè tantomeno che goderne non sia foriero di piaceri ai quali nemmeno un inguaribile snob come il sottoscritto è immune.
Per questo mi sono avvicinato con una certa curiosità tanto alla terza Florence Cocktail Week, di scena nel capoluogo toscano dal 30 aprile al 6 maggio prossimi (il programma è qui), quanto al contenuto dei molti bicchieri ivi proposti: proprio per cercare di capirne qualcosa di più, al di là del superficiale approccio unicamente edonistico, e direi quasi intrattenitivo, che finora mi aveva contraddistinto nel rapporto con certe bibite alcooliche e colorate, preparate con coreografia a volte perfino eccessiva da personaggi molto esuberanti elevati spesso, come i dj, al rango di idoli.
Insomma, diciamo che ho studiato.
Non che la cosa abbia innalzato di molto la mia competenza in materia, ma non posso negare che l’approfondimento mi abbia abbastanza illuminato su alcuni aspetti fino a ieri sconosciuti.
Detto questo, occorre fare pure un’altra premessa: la chiave a mio parere vincente della manifestazione, e che mi ha convinto ad aderire all’iniziativa ideata da Paola Mencarelli e da Lorenzo Nigro, è il tentativo di portare il pur ultratecnico ma in fin dei conti godereccio consumo di cocktail anche fuori dalle secche del puro materialismo e provare a fonderlo con le intriganti valenze culturali legate tanto alla non casuale coincidenza lessicale (spirito nel senso di liquore e di anima), quanto all’innegabile ruolo che, nei secoli, il consumo di alcool – più o meno miscelato – ha ed ha avuto nel processo creativo, sia esso artistico, letterario, intellettuale.
Da qui l’intuizione di affiancare alla rassegna bevereccia, come evento finale, un ponderoso convegno ideato dalla sociologa Simona Scotti e intitolato “Spirito&Spirits – Religioni e Lifestyles” (il programma è qui), destinato a scavare nelle pieghe più profonde della relazione tra uomo e spirito.
Il parterre di relatori e soprattutto il ventaglio dei temi toccati è impressionante per quantità, varietà, trasversalità, interdisciplinarità: si spazia (e sono solo esempi) da”Bacco, tabacco e Venere: transizioni cognitive e Spiriti nella santeria cubana” a “Alchimia a Damanhur: lo spirito trasforma la materia“, da “Ri-evocare gli spiriti: ritualità del bere e spiritualità conviviale, il caso dei festival celtici” a “La provocazione futurista delle polibibite, dal Cantico dei Cantici al Diavolo in tonaca nera” a “Alcol e stile giovane: la faccia delle relazioni alcoliche“.
A me, ahivoi, sia il compito di illustrare come il mondo dell’informazione percepisce, rielabora e trasforma tutto ciò in un prodotto giornalistico destinato alla divulgazione, sia il compito di trarre delle conclusioni dal dibattito della giornata.
Devo ancora capire se il cocktail me lo dovrò bere prima di cominciare per scacciare le preoccupazioni o dopo per festeggiare di avercela fatta.
L’ipotesi più probabile è che faccia ambedue le cose.
Per proposte, commenti e chiarimenti, cercarmi tra il 30 aprile e il 6 maggio al bancone di qualcuno degli appuntamenti della Florence Cocktail Week