di URANO CUPISTI
In viaggio, le disavventure sono all’ordine del giorno. Ma partire in bermuda ed arrivare oltre il Circolo polare artico senza bagaglio può rivelarsi un’esperienza forte. E pure costosa.

 

Ci sono tante ragioni per andare alle Svalbard, nel Mare Glaciale Artico, ovvero la parte più settentrionale della Norvegia e le terre abitate più a nord del pianeta. Io ci volevo andare proprio per quello. E per realizzare il sogno di posare i piedi sul pak a poco più di 1.000 Km dal polo Nord.

A dire il vero vi sono anche terre posizionate qualche decimo di grado più su, come la Terra di Francesco Giuseppe, 0,9° oltre le Svalbard, ma è una storia che racconterò successivamente.

Come tutti i miei viaggi, anche quello alle Svalbard fu programmato in ogni particolare. Correva l’anno 1995. L’obiettivo, oltre visitare buona parte dell’isola principale, Spitsbergen, era appunto calpestare il pak.

Anche se il periodo scelto fu il mese di luglio, per via della luce permanente e il clima più favorevole, munirsi di un’attrezzatura adeguata all’avventura era vitale. Se è vero infatti che le temperature sono più accettabili, il tempo è però estremamente variabile e le raccomandazioni per chi si avventura sul pak erano tutte incentrate sul vestiario.

Quindi tuta termica da indossare anche con il cielo terso, stivali di gomma con carrarmato per camminare sul permafrost e mantenere piedi caldi e asciutti, diverse paia di calzini (uno elasticizzato a contatto con il piede e l’altro di lana sopra), copricapo di lana per evitare di sudare perché l’aria comunque è mantenuta fredda dai continui venti. Tutto questo insieme al normale abbigliamento pesante e non per la vita di bordo.

Al banco delle partenze dell’aeroporto di Pisa ci sono 35°. Ho t-shirt, shorts a fiori, sandali e due borsoni con tutto l’equipaggiamento, inclusa una bandierina norvegese per far capire dove vado.

Faccio il chek-in con destinazione bagaglio Oslo, via Milano. Poco dopo avvisano però che l’aereo porta un’ora di ritardo e al banco informazioni mi avvertono che avrei avuto un cambio stretto con la compagnia Braniff per, appunto, Oslo. “Non si preoccupi, arrivato a Linate lei e il bagaglio verrete accompagnati direttamente all’aereo della Braniff“, mi tranquillizzarono.

In effetti fui accompagnato all’aereo, ma il mio bagaglio no.

Arrivato a Oslo, corro subito al baggage claim: “Non si preoccupi signore, arriveranno domani mattina con il primo volo da Milano

Io: “Ma domattina presto ho il volo per Tromsø

Loro: “Nessun problema. Ci dia l’indirizzo dell’hotel di Tromsø e nel primo pomeriggio riceverà i bagagli“.

Inutile discutere e far capire l’importanza di quei due borsoni.

Comunque in aeroporto compro il minimo indispensabile per passare una giornata a Oslo e per un po’ mi dimentico dei borsoni, di Tromsø, delle Svalbard e perfino del pak. Così mi ritrovo al Nasjonalgalleriet di fronte al celebre dipinto di Munch immaginandomi sulla sconosciuta collina Ekeberg dove l’artista, osservando il tramonto, trovò l’ispirazione per dipingerlo: “Camminavo lungo la strada con due amici – scriveva – quando il sole tramontò. Il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue; mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.

Già che ci sono, c’incastrò anche la visita al Vikingskipshuset, il Museo delle navi vichinghe Oseberg, Gokstad e Tune. Si trova nella vicina Bygdøy, che si raggiunge in quindici minuti con un battello pubblico dal molo di fronte al celebre Municipio.

La sera, rientrato in hotel, trovai l’avviso della Braniff che mi avvisava del monitoraggio dei due borsoni e delle disposizioni per la consegna in hotel, il giorno dopo, a Tromsø. Così andai a letto tranquillo.

Tromsø è la capitale bianca del Nord, la Parigi nordica, la capitale della Lapponia. E’ anche una gran bella cittadina al di là del circolo polare artico, linda, con il centro storico sull’isola all’imboccatura dell’omonimo fiordo. Città universitaria, che vive sia nelle buie notti invernali, illuminate di tanto in tanto dalle aurore boreali, che nelle calde giornate solari estive. La cattedrale primeggia con le sue artiche vetrate e architetture. Ma i bagagli non arrivarono…

Al mattino del giorno seguente, al gate per Longyearbyen (cioè le Svalbard), un funzionario mi comunica che nel pomeriggio sarebbe arrivato il mio bagaglio e che, prontamente, il giorno successivo sarebbe stato imbarcato per la mia destinazione. Efficienza norvegese, pensai.

Solo che quella stessa sera sarei partito in nave alla volta dell’isola Spitsbergen, raggiungendo l’agognato pak con addosso solo jeans, un maglione, uno spolverino e un paio di Timberland.

Con me volava anche il capo-spedizione Antonio, un ragazzotto spagnolo sempre allegro, che provò a tranquillizzarmi: aveva la soluzione disse, io dovevo solo metterci i soldi. “Tranquilo italiano pisano  – mi dice, sapendo che ero partito da Pisa – con i money risolviamo todo. Disfrutar del espectáculo della traversata vista l’assenza della nebbia“.

Ancora una volta, dimenticando i borsoni, mi metto ad osservare le montagne nere delle Svalbard dipinte con pennellate di bianco nelle vallate e l’insediamento di Longyearbyen, che mi attendeva in una “calda” mattinata estiva: 5° e vento dal nord. L’hostess biondona norvegese che esclamò in un lappo-inglese “sportivo l’italiano con la sola maglia, prenda una coperta per scendere“, mentre Antonio se la rideva.

La soluzione che aveva in mente Antonio era semplice e pragmatica: raggiungere il drugstore della base americana e riacquistare tutto l’occorrente, conservando la nota-spesa per un ipotetico rimborso. Il totale fu di 1.500 dollari. Del rimobrso ne riparleremo.

Quella sera, ma con la luce, la nave Nordpolen (non poteva che chiamarsi così), con una doppia carenatura adatta a posarsi sul pak, salpò alla volta di Ny-Alesund, la prima meta della bianca avventura alle Svalbard.

L’avventura vera cominciava ed io ero praticamente seminudo alla meta.

(continua)