Un socio chiama un’associazione di categoria (nb: a scanso di equivoci, NON roba giornalistica) a cui, pur pagando regolarmente da 18, dicesi diciotto, anni la non simbolica quota annuale, non ha mai chiesto nulla e quindi non ha mai beneficiato di alcun servizio o consulenza.
Colpa o negligenza sua, sia chiaro.
Poi, per la prima volta dopo 18, dicesi diciotto, anni il socio silenzioso e assenteista, ma pur sempre socio, ha bisogno di fare un paio di domande tecniche. Nulla di torrenziale, giusto due risposte veloci per un adempimento burocratico urgente.
La prima volta gli danno qualche cortese indicazione di massima ma gli dicono anche che, se è in grado di adempiere da solo, bene, sennò sono 200 euro per la compilazione della pratica.
Lui risponde che fa da solo, ma dopo qualche giorno richiama per un banale chiarimento di 30 secondi su una certa modulistica.
Ora capisco che le scadenze incombano, che gli impiegati (comunque retribuiti anche grazie alle quote mai messe a frutto) siano stressati e che gli associati gli telefonino in continuazione per avere chiarimenti, ma se uno ti risponde, papale papale, che lui deve “lavorare per quelli che pagano i 200 euro per il servizio e non per te“, quando il lavoro richiestogli consiste nel rispondere in mezzo minuto a un semplice quesito formale, tu come replichi?
Mettete una crocetta accanto alla risposta:
scusi se l’ho disturbata
– ma come si permette?
click
– lei non sa chi sono io
– le mando sotto casa mio fratello che fa il pugile
– vada a quel paese
– prenda nota delle mie dimissioni
– lo dico al direttore
si curi il fegato
maleducato
imbecille
– a buon rendere
burocrate
ladro
– altro (specificare).
Poi provate a indovinare cosa ha fatto il socio insolentito.