In questo preciso momento, a Firenze, Carlo Macchi sta presentando la riedizione, riveduta e corretta, della sua biografia di uno dei più grandi enologi toscani della storia. Siccome non sono lì e chi mi legge, ovviamente, non c’è nemmeno lui, ne parlo io.

Ho visto l’ultima volta Giulio Gambelli nell’aprile del 2007, quasi nove anni fa.
Al Teatro Politeama di Poggibonsi, la sua città, quando il comune amico Carlo Macchi presentava la biografia che aveva scritto su di lui. Platea strapiena e atmosfera delle grandi occasioni. Sebbene il Gambelli, sempre fin troppo modesto, con quella sua aria un po’ stralunata pare fino all’ultimo abbia detto: “E se viene poca gente?
Il libro naturalmente andò a ruba, piovvero applausi scroscianti. Giulio col microfono fu più brillante del previsto e perfino il Macchi sembrò una persona seria.
Poi il tempo fece il suo corso.
Gambelli, il riconosciuto maestro del Sangiovese, l’uomo che senza cultura accademica aveva rivelato una sensibilità e una capacità naturali mostruose, mancò nel 2012. Era nato nel 1925.
L’anno dopo, su proposta di Carlo, grazie ad Aset (qui) e al gruppo IGP, nacque il premio Giulio Gambelli per l’enologo under 35 più “gambelliano” dell’anno (qui). Un riconoscimento destinato ad enologi nel nome di chi non lo fu mai, nemmeno honoris causa, per certe ridicole ripicche. Già questo, e il volutamente evanescente concetto della “gambellianità”, sono bastati a far discutere: risultato raggiunto. Quest’anno arriveremo alla quinta manche.
E ora esce, per Slow Food (112 pagine, 14 euro e 50), la riedizione del libro, arricchita e integrata. Lettura altamente consigliata per conoscere vita pubblica e privata di un grande personaggio dell’enologia toscana. Uomo d’altri tempi e di talento sopraffino. Nato povero, rimasto sobrio per stile di vita e modo di vedere le cose.
Non posso dire di essere stato suo amico, ma l’ho conosciuto e ho avuto la fortuna di frequentarlo un po’ quando, nei primi anni ’90, a Siena si organizzavano, su un’idea di Francesco Bonfio (all’epoca, diciamolo, avversatissima dall’establishment vinicolo toscano), le “disfide” tra due dei grandi rossi senesi a docg: cinque bottiglie di una grande annata per parte, ovviamente confuse tra loro, e un panel di cinque tra enologi e giornalisti del settore chiamati, alla cieca, ad assaggiarle e a dare un punteggio. Dalla somma finale usciva la docg vincitrice.
Giulio Gambelli era un membro fisso della giuria. Sempre modestissimo e apparentemente spaesato, di poche parole, rapido, defilato. Gli altri lo mettevano al centro del tavolo, forse – si potrebbe malignare – per occhieggiare meglio la sua scheda.
Ecco, questo è uno dei pochi episodi della carriera di Gambelli che nel libro di Carlo Macchi non c’è.
Ma gli altri ci sono tutti. E quindi bisogna comprarlo.