Avete presente il mio post sui crediti anticovid garantiti dallo stato che, in sostanza, danno soldi a chi ha poco bisogno di liquidità (pur avendone il diritto, sia chiaro), mentre lo negano a chi ne necessita sul serio?
Spiegavo che spesso accade perchè il sostegno è condizionato al superamento di copiosi ostacoli burocratici, ivi incluse le precauzioni delle banche. Le quali, tirate dentro per i capelli ma non fidandosi dello stato, prima di assicurare un prestito vogliono essere certe che il debitore possa restituirlo.
Ecco, a volte va anche peggio. Molto peggio.
In certi casi, infatti, dopo mesi che l’iter è stato avviato – con l’affidamento anche psicologico che ciò comporta da parte dell’imprenditore – si scopre che il governo non ha tenuto conto dei vincoli a cui l’ente che presta la garanzia è a sua volta sottoposto. Vincoli che ovviamente condizionano ancora di più la concessione degli agognati crediti.
In pratica un’azienda poco liquida causa Covid avvia l’iter investendo tempo, fatica, spese, carteggi, certificazioni eccetera fino a quando, dopo qualche mese, non si sente richiedere un’autocertificazione che non può sottoscrivere se non rilasciando dichiarazioni mendaci penalmente perseguibili.
Superfluo dire che, avendolo saputo per tempo, l’impresa non avrebbe mai avviato l’onerosa pratica.
Ne consegue che deve rinunciare, buttando tutto alle ortiche. E questo solo perché il governo, prima di promettere, non ha ben circoscritto le regole di accesso agli sbandierati finanziamenti. Insomma, avevano scherzato.
Forse a qualcuno tutto ciò parrà normale. A me, no.
E nemmeno al Sole 24 Ore e a Italia Oggi, per la cronaca.