Ovviamente nè le circostanze e nè il luogo erano una coincidenza, ma nessuno poteva saperlo prima, salvo il diretto interessato.

Mi riferisco all’annuncio dato ieri a sorpresa dal sindaco di Firenze, Dario Nardella – in occasione del convegno organizzato dall’Accademia della Fiorentina sulla produzione sostenibile della carne bovina nella Maremma toscana tenutosi nel Palazzo dell’Arte dei Beccai (e nell’ambito del quale ho coordinato la successiva tavola rotonda) – della candidatura avanzata dal Comune all’Unesco di inserire appunto la bistecca alla fiorentina nell’elenco dei beni immateriali del patrimonio dell’umanità.

Un’operazione analoga a quella, recente, portata a buon fine per la pizza napoletana. “Non sarà un’impresa facile – ha sottolineato Nardella ma ci proveremo e allo scopo mi sono già consultato col collega partenopeo per individuare il cammino da percorrere“.

Al netto delle vere o presunte finalità elettoralistiche dell’iniziativa (indubbie, ma fa parte del gioco della politica) e delle più superficiali questioni di orgoglio nazionale o di campanile che essa può suscitare, la questione meriterebbe una serie di approfondite considerazioni inerenti ad esempio da un lato l’effettivo valore del “marchio” Unesco, dall’altro la necessità di circoscrivere la “modalità fiorentina“, finora affidata alla giusta vaghezza ed elasticità della tradizione, tra paletti o addirittura in un disciplinare che ne renderebbero la formula assai più rigida o assai più lassa, ma costituirebbero comunque un’area circoscritta.

Area sulla quale, c’è da scommetterci, ci si accapiglierà da subito.

Non è un’operazione di sola immagine, ma di sostanza“, si è affrettato a specificare il sindaco.

Il che vuol dire, al di là delle parole, che ci sarà parecchio da mettere a fuoco (appunto), sempre che, come è probabile, nelle segrete stanze non si sia già compiuto, in vista dell’annuncio, buona parte dell’indispensabile lavoro preparatorio.

Da parte mia, sono comunque un po’ allarmato.

Per un verso infatti da tempo diffido della smania di mettere “bollini” su tutto, massime sul cibo, che poi alla fine finiscono per diventare mere leve di marketing (vedi doc, dop, etc), per un altro perchè temo, sempre in generale, la rigidità che ogni codificazione comporta, privando l’oggetto della regolamentazione di quella “ortodossia intrinseca” che di norma accompagna la vera tipicità, ovvero quella che chiunque se ne intenda sa riconoscere a prescindere da ricette e formulette.

Ma avremo modo presto di riparlarne.