La rete fa le pentole, ma non i coperchi: dopo l’enogastro, anche nel turismo casi clamorosi di marchettifici camuffati da “fonte indipendente”. Per l’OdG, un’occasione irripetibile per mondare il sistema da marchettari, finti giornalisti e veri ciarlatani.

Non è un mese che, al forum fiorentino di Vetrina Toscana sull’informazione enogastronomica, mi toccò entrare a piedi uniti (qui) per squarciare il velo di ipocrisia che, nella tacita accondiscendenza generale, tendeva a coprire – all’insegna della mai troppo biasimata “comunicazione” – la differenza tra informazione e pubblicità.
Non sono tre settimane che, a un corso di deontologia sull’Odg (qui), mi toccò intervenire per ribattere alle farneticazioni di chi diceva che se un giornalista cita in una recensione il nome del prodotto o del produttore fa, con ciò, sempre e comunque “pubblicità” ai medesimi.
Non è una settimana che mi sono dovuto sbilanciare sulle marchette camuffate di certi blogger (qui) che, spacciandosi per paladini della libera informazione, prendono denaro o compensi in natura dalle aziende per parlare bene delle stesse.
E non sono cinque giorni che l’Antitrust ha spiccato una multa da 500mila euro contro Tripadvisor (qui) dopo aver scoperto, con l’acqua calda, che il noto portale “enfatizza il carattere autentico e genuino delle recensioni, inducendo così i consumatori a ritenere che le informazioni siano sempre attendibili, espressione di reali esperienze turistiche“.
Il massimo paradosso si è raggiunto lo stesso giorno quando ho saputo che qualcuno, con vasto seguito di fan disposti a difenderlo (a dimostrazione di quanto l’anormale venga oggi percepito per normale), si è messo a vendere manuali (vedi qui) che spiegano ai colleghi, sempre “blogger“, come “viaggiare sponsorizzati“. Cioè come fare da testimonial di qualcosa in cambio di qualcos’altro.
Tutta roba lecita, per carità. Ma eticamente subdola e, se non dichiarata esplicitamente, anche scorretta.
A dimostrazione del fatto che l’opacità dell’informazione è un fenomeno trasversale rispetto a tutti i settori, professioni vere o presunte incluse. E che anche in quello dei viaggi (con ciò che l’accompagna: destinazioni, alberghi, ristoranti, compagnie aeree, tour operator, enti di promozione, stampa, blog, guide) c’è un gran bisogno di una cosa sola: la trasparenza.
Trasparenza vuol dire che da subito è ben chiaro a tutti chi fa cosa, perchè la fa, a che titolo, con quali fini e in rappresentanza di chi. Articoli sui giornali compresi.
Parrebbe semplice e lineare: a ognuno il suo mestiere, in una dimensione di sano equilibrio e giusti interessi.
Invece non è così.
Ma su chi incombe l’onere di ristabilire l’equilibrio incrinato?
Vogliamo essere ipocriti fino al punto di predicare, facendo finta di crederci, che il compito gravi su chi ha un interesse materiale diretto affinchè tutto rimanga vago e su chi, da ciò, trae un tornaconto commerciale immediato, leggi venditori e promotori dei prodotti turistici? Via, siamo seri. Loro sono i primi a sguazzarci. E, considerato che non è vietato, è pure difficile biasimarli. Più biasimevole è casomai la circostanza che questi soggetti spesso non si limitino ad approffittare del bengodi prodotto dalla confusione informativa, ma la alimentino con politiche ad hoc, strategie ad hoc, eventi ad hoc e perfino budget ad hoc.
Vogliamo allora fingere di credere che siano i loro compari, o partner secondo i casi, a potersi dare la zappa sui piedi? Cioè quei rappresentanti di certo furbesco blogging che, dal nulla, grazie alla fuffa si sono ritagliati spazi di visibilità, fama più o meno effimera, ospitate tv, prebende in natura e non o perfino un “mestiere“? Non mi riferisco, ripeto, a chi fa la cose alla luce del sole, ma alla vastissima area che opera nella penombra.
Ne consegue che gli unici soggetti ad avere un interesse istituzionale, oltre che personale, ad arrestare quest’attività di diluizione della verità sono i giornalisti.
O meglio l’organo che li riunisce e rappresenta, l’Ordine dei Giornalisti.
Il quale potrebbe prendere due piccioni con la classica fava e approfittare dell’opportunità, a colpi di denunce e sanzioni, per fare un ripulisti doppio e parallelo: di blogger marchettari che svuotano il senso della parola informazione e di giornalisti marchettari che svuotano dal di dentro il senso della parola professione.
Sarebbe una straordinaria opera di bonifica.
Da estendere a chi, di tutto quanto sopra, fa da tessuto connettivo: da un lato, i blogger che si spacciano per giornalisti e, dall’altro, i giornalisti che tollerano, spesso condividendo con loro desco e tribune, che ci siano abusivi del titolo professionale.
Sai che pulizia!
Enzo Iacopino, lascia perdere Barbara d’Urso e buttati in questa battaglia.