di URANO CUPISTI
Giugno 1969 a bordo delle Hutigruten: oggi navi da crociera ma allora vere navi postali, cioè autobus del mare. Le Lofoten, le Vesteralen, Capo Nord e la frontiera sovietica sulla penisola di Kola, nell’Oceano Artico. Prima parte.
Avevo letto da qualche parte che “navigare sulla costa norvegese è come aprire una grossa scatola di cioccolatini: ci sono gustose sorprese dappertutto”.
Ma farlo con le navi postali Hurtigruten fu allora, nel giugno 1969, un’esperienza magnifica, capace di coniugare la bellezza dei luoghi, il fascino della navigazione, l’emozione degli attracchi in porti di ogni dimensione, l’assistere agli scambi di merci, il calore dei norvegesi e dei lapponi, l’addio o la promessa di un ritorno.
E poi percorrere tratti di mare con grandi balene o vedere volteggiare, oltre il Circolo polare artico le maestose aquile di mare, osservare le pulcinelle e i marangoni dal ciuffo appollaiati a centinaia sulle rocce scoscese.
Mentre le Lofoten ti salutano con i loro innumerevoli e maleodoranti tralicci di stoccafisso messo a essiccare, le Vesteralen appaiono subito sontuose, quasi regali. L’isola di Magerøya, unita alla terraferma da un ponte, il paesino di Hammerfest e la navetta per Nordkapp, cioè Capo Nord: tutto fu una vera emozione. Quindi fare rotta poi verso le terre dei Sami (ovvero i Lapponi) che si affacciano sull’Oceano Artico e spingersi sino a Kjøllefjord, Mehamm, Beverläg, Batsfjord, Vardø, Vadsø ed infine Kirkenes, ultimo approdo a 2 Km dal confine con la Penisola di Kola, allora URSS, fu più un lungo brivido che una semplice esperienza.
Rifare oggi quel viaggio a ritroso è come riavvolgere un film fino al fotogramma di partenza: il golfo di Bergen.
Delle Hurtigruten avevo sentito parlare alla fine degli anni sessanta ad una cena di amici. Uno stava organizzando la sua personale spedizione a Capo Nord usando quei postali, che davano la possibilità di essere utilizzati come base per brevi viaggi di un giorno, scendendo e riprendendo la nave successiva.
Il bello, intuii, era si trattasse di un’esperienza “tutta norvegese”, dai passeggeri alle merci. Da lì ad organizzare il mio viaggio passò poco tempo: giusto l’attesa del ritorno del mio amico per avere qualche consiglio di prima mano.
Il resto spettava a me, a partire dalla scelta delle navi: ovviamente le più vecchie tra quelle ancora in uso, con le cuccette erano simili a quelle dell’equipaggio, e dove il carico/scarico delle merci avvenivano con i bighi e le auto “imbracate”.
La prima fu la Nordstjernen, costruita ad Amburgo nel 1955, la seconda la Lofoten, un po’ più giovane e “lussuosa”, costruita nel 1964.
Partenza da Bergen come detto, la cosiddetta porta dei fiordi.
La raggiunsi in treno da Oslo. Avevo prenotato una pensioncina dietro l’antico quartiere anseatico di Bryggen con i suoi edifici da cartolina e avevo un giorno intero per visitare la città: il Fisketorget (mercato del pesce, dove vidi per la prima volta la carne di balena in vendita sui banchi), il caratteristico quartiere Marken. La cosa più spettacolare fu la salita in cima al Monte Fløyen con la funicolare Fløibanen da dove scorsi, piccola, piccola, la nave che avrei raggiunto in serata. Lo scenario era incomparabile.
Mi accorsi che i norvegesi, abituati agli orari e all’utilizzo dei postali come per noi prendere un autobus, arrivavano alla nave sempre alla spicciolata, meno di un’ora prima della partenza.
L’alloggio era come lo avevo desiderato: molto spartano, alla marinara, simile a quello dei viaggi fatti “per mare” con mio padre, comandante di macchina. Del resto, lì ci avrei passato una sola notte. Notte si fa per dire: navigando verso nord, il buio avrebbe stentato ad arrivare.
L’impressione del viaggio fu da subito sbalorditiva. Le imboccature dei fiordi sfilavano sulla destra, minuscoli villaggi sembrarono piccole gemme incastonate nelle spiagge, con alle spalle alte montagne. Il primo attracco, il porto di Florø, mi fece capire l’importanza fondamentale Hutigruten nel raggiungere le comunità costiere e consegnare loro, in tempi brevi, merci e posta, oltre a fungere da traghetto.
Scarico e carico in tempi brevissimi e “slipp fortøyningene“, mollate gli ormeggi, preceduto da tre fischi, dieci minuti prima della partenza. Come dire: ”Tutti a bordo, noi partiamo”.
Måløy,fu il secondo approdo nelle primissime ore del mattino. Sapevo di essere nei pressi del Nordfjord dove, di giorno, si viene accolti da un bellissimo tratto di costa e le montagne imponenti che nascondono il più grande ghiacciaio dell’Europa continentale, lo Jostedalsbreen.
Ovviamente durante la notte sulla Nordstjerne non toccai cuccetta. Feci la prima colazione alla “norvegese”, a base di aringhe, e mi tenni pronto ad osservare lo spettacolo della navigazione.
Ålesund mi apparve come una cittadina sparpagliata tra piccoli fiordi e isolette. Ci rimasi tre giorni, alloggiando in una guest-house di periferia. La città sembrava uscita da un libro di fiabe nordiche. Il porto, la salita fino ad Aksla con belvedere a 180°, l’Art Nouveau, l’escursione all’Isola di Runde, un’oasi avicola dove si possono incontrare centinaia di volatili di varie specie che si radunano qui per nidificare tra gli anfratti delle pareti rocciose. E vivere Ålesund tra la gente, nei piccoli bistrot, o passeggiando nel centro storico, fu come abbeverarsi alla sorgente delle emozioni.
Poi mi imbarcai sulla seconda Hurtigruten, la Lofoten. Cabina più lussuosa, spazi comuni meno spartani, servizio da crociera: rimpiansi la Nordstjernen appena salito a bordo. Destinazione: Kristiansund con scali a Geiranger, Molde e Torvik. E La mia avventura norvegese con le Hurtigruten era solo all’inizio.
(1.continua)