Nel 2010 scrivevo che “Solo una sana e consapevole decrescita salva il freelance dallo stress e dalla crisi economica“. Era la presa d’atto che la libera professione poteva sopravvivere solo tagliando i rami secchi e rimodulando l’attività. Ora però bisogna cambiare ancora. Come?

 

Nel giugno del 2010, quando questo blog non aveva neppure un anno di vita, pubblicavo (qui) un post, di grande successo devo ammetterlo, intitolato “Solo una sana e consapevole decrescita salva il freelance dallo stress e dalla crisi economica“.

Era, in breve, la semiseria (ma più seria che faceta) cronaca della presa d’atto che, tramortita dalla congiuntura, la libera professione giornalistica, all’epoca non ancora contrabbandata come “lavoro autonomo”, poteva sopravvivere solo se ognuno di noi freelance fosse stato capace di capire che il giornalismo aveva cambiato pelle, che bisognava tagliare i rami secchi e che le vere plusvalenze – leggi reddito – sarebbero da allora in poi arrivate non dall’aumento di compensi già in caduta inarrestabile, ma dal risparmio, dalla razionalizzazione delle spese e dalla rimodulazione dell’attività. Con l’appendice, spesso, di una migliore qualità della vita.

Erano previsioni che si rivelarono esatte.

Ma è passato un decennio, le cose sono ulteriormente mutate e quel post va dunque aggiornato, perchè anche il “modello di business” (altro termine che allora, bei tempi!, non c’era) legato al basso profilo e alla filosofia decrescente ha esaurito la sua spinta propulsiva.

In altre parole, occorre reinventarsi professionalmente un’altra volta.

Mica facile, però. In quasi dieci anni l’insipienza governativa e la miopia delle istituzioni giornalistiche, con in testa il sedicente sindacato, hanno fatto danni irreparabili: dopo la strage degli anni ’10, nella nostra categoria se ne profila una seconda. Per dirla ancora più esplicitamente: la strage c’è già stata, ma i cadaveri affiorano con tutta la loro numerica evidenza solo ora.
Per gli scampati, la soluzione non può essere quella di prima, perchè il tagliabile è stato già tagliato e anche col giornalismo multitasking si è raschiato il fondo del barile. Non ci sono più capacità, competenza, elasticità, velocità, brillantezza che reggano: manca proprio l’ossigeno.
E allora forse bisogna fare come gli orsi d’inverno, o i marinai intrappolati in un sommergibile sul fondo del mare in attesa di soccorsi: andare in letargo, respirare piano agitandosi il meno possibile, entrare in modalità stand by. “Ho cominciato a fare consulenze“, mi diceva giorni fa un amico di grande professionalità e riconosciuto prestigio.
Praticamente smettere, dedicandosi a qualcosa d’altro o di parallelo, nella (scarsa) speranza di essere ancora vivi quando, prima o poi, all’orizzonte si profilerà qualcosa di nuovo. Nell’attesa, via libera ai contrattualizzati, almeno finchè non capiterà anche a loro di trovarsi dalla nostra parte dopo aver perso la scrivania da un giorno all’altro, e ai dilettanti: gli unici che, avendo un lavoro vero, il nostro lo possono fare in distensione, per hobby e spesso con uguale professionalità. E non dico per scherzo.
Il rischio, casomai, è che quando ci risveglieremo dal letargo ci ritroveremo non più giornalisti ma “operatori dell’informazione“, come vorrebbe il sottosegretario Crimi.
Allora sarà meglio non risvegliarsi nemmeno e passare direttamente nell’Ade dei cronisti.