In base al rapporto inviti-durata della fiera non potrei dedicare, pause e spostamenti inclusi, più di sette minuti ad azienda, come le visite dell’indimenticato dott. Tersilli. Ma la vera stranezza è che, per il resto dell’anno, l’80% dei mutuati riscompare.

 

Va di gran moda tra i colleghi, e li capisco perchè come loro sono vittima del fenomeno, lamentarsi per l’alluvione di inviti e comunicati stampa ricevuti per l’imminente Vinitaly.

Li capisco appunto, ma ho pure smesso da tempo di lamentarmi, perchè quell’alluvione fa parte delle regole del gioco e va accettata: se ti mandano cose è perchè sei nel sistema e quindi ne fai parte. Ogni medaglia ha il suo risvolto.

Sempre a proposito di uffici stampa e pubbliche relazioni mi sono invece posto in questi giorni alluvionali un’altra questione, meno banale e forse più sottile: ma perchè l’80% delle aziende prova a fare “comunicazione” (o almeno ci prova con me) solo in occasione dell’appuntamento veronese?

Come detto, trovo infatti normale che mi contattino prima di Verona, dove affluisce gran parte della stampa del settore e non. Ma trovo stupefacente che non sia mai venuta loro l’idea, o nessuno lo abbia loro mai suggerito, di farlo “anche” (con risultati pratici probabilmente migliori e più produttivi), nei 361 giorni dell’anno diversi da quelli ingolfatissimi della fiera.

Con un’aggravante, oltretutto: in base a una statistica occhiometrica, il 50% dei mittenti di comunicati e inviti è persona a me completamente ignota o estranea, un altro 25% lo conosco al massimo per sporadica via epistolare, il 10% l’ho incontrato qualche volta senza approfondire e solo col 15% ho un rapporto – a volte professionale, a volte di familiarità, a volte di stima e ogni tanto perfino di amicizia – di natura personale.

Eppure è un effluvio di telefonate (molte perfino col “tu” di default) e di missive infarcite di “carissimo“, di “come stai?“, addirittura di “amico” che, istintivamente, mi infastidiscono in quanto suonano assai più seriali, anonime e neutre di quelle (ineleganti, d’accordo, ma almeno non ipocrite) che cominciano con “gentile (senza nome)”, “egr. sig./gent. ma sig.ra (proprio così, con la sbarra tra le abbreviazioni)”, “dott.” eccetera.

Così si va da un’edizione all’altra intessendo relazioni tanto false quanto puramente virtuali con centinaia di cantine e vignaioli magari interessantissimi, ma di cui non hai mai assaggiato un vino, non hai mai visto un vigneto, non hai idea di ciò che facciano, chi siano o che pensino. E che certamente non verrai a sapere in occasione di una kermesse di quattro giorni durante la quale, ammesso di riuscire a farsela tutta, secondo i miei calcoli avresti al massimo, sulla base degli inviti ricevuti, sette minuti da dedicare a ognuna (spostamenti interni e pause inclusi).

Insomma, come mai viticoltori e pr provino a intessere rapporti con la stampa solo nei quattro peggiori giorni dell’anno, resta un mistero.

Se ne desume che, se quella delle pubbliche relazioni è un’arte, nel settore gli artisti sono pochissimi e in quello del vino ancora meno.

Perfino meno dei giornalisti, il che è tutto dire.