Giornata ovattata e solitaria, in cui da ore sto pensando a quale fosse il disco adatto da mettere. Scelta impegnativa per un contesto complesso. Ora l’ho scelto, ma forse non per le ragioni che si potrebbero credere. Eccolo.

 

Soundtrack: “For Everyman“, Jackson Browne

 

Oggi tutti fuori.
Chi al corteo, chi ai castelli, chi a qualche cacofonico e nauseante concertone, tra rutti di birra e esalazioni di ascelle. Tutte le scuse sono buone per unirsi a qualche rancida liturgia e concedersi in verità un altro sacrosanto giorno di nullafacenza.
Non sono del resto affatto convinto che il lavoro nobiliti l’uomo, ma piuttosto che, con la sua necessità, esso lo abbrutisca, distraendolo da occupazioni intellettuali ben più alte. Sempre ammesso che a certe altezze l’individuo sia capace di salire.
Io invece oggi mi dedico alla solitudine.
Una solitudine assoluta e un po’ malinconica, suggellata dal tempo uggioso e dalla mancanza totale di anime vive nei dintorni. Perfino cani e gatti tacciono. Per strada, i chiassosi mentecatti in gita paiono dare tregua (del resto manca il sole e loro alla fine è quello, la panacea d’ogni inquietudine, che cercano).
Così, da almeno un paio d’ore, occupo il tempo tentando di decidere quale sia il disco più adatto ad essere ascoltato in questo medesimo intervallo.
Non so decidermi.
Ho canticchiato mentalmente almeno una ventina di melodie, senza trovarne nessuna acconcia.
Non cerco nulla di troppo triste, nè di cerebrale. Nemmeno nulla di rumoroso, però, e nemmeno di impegnativo, perchè ho anche voglia di pensare. Nulla di classico, se scelto solo perchè classico. Nulla di nostalgico o rievocatorio. Dev’essere un disco che ha un senso in sè, nel momento. Nulla di troppo tecnico, nulla di troppo virtuoso. Nulla di troppo ovvio, naturalmente. Nulla di troppo profondo, se non di una profonda levità da carta vetrata doppio zero, abrasiva poco più di un massaggio o di una carezza, ma capace comunque di lasciare un segno percepibile.
Nulla di facile e di leggero, va da sè. Proprio no, non ho alcuna voglia, nè bisogno di distrarmi. L’allegria mi dà fastidio e i musicisti allegri anche di più.
Ecco, forse ho trovato.
Un disco sempreverde, che non indulge a nulla e che avrebbe potuto essere inciso oggi, anche se forse con una fortuna critica minore.
Sì, lo so, è uno standard.
Ma forse lo è solo per una certa generazione. E il fatto che sia stato seguito da classici divenuti più classici di lui lo monda da quel peccato originale.
Lo ascolterò senza pensare troppo alle parole e nemmeno ai musicisti, nè al contesto in cui nacque, nè a ciò che esso può aver rappresentato. Lo metterò sul giradischi e lo lascerò girare, fino a che il clop-clop della puntina non mi avvertirà che è il momento di cambiare la facciata.
Fungerà da viatico e da volano al flusso creativo di cui giornate come queste, un po’ ingolfate, hanno bisogno.
In fondo, il primo maggio è un giorno come gli altri.
Quasi.